L’Elbrus (5642 m), lo stratovulcano dormiente che rappresenta la vetta più alta del Caucaso e della Russia, riconosciuto dagli istituti geografici quale vetta più alta d’Europa, non presenta nella sua ascesa particolari difficoltà tecniche ma è ben noto che possa rivelarsi letale in caso di condizioni meteo avverse. Nella notte di giovedì 23 settembre, come più volte accaduto nel corso di ormai un secolo e mezzo dalla prima ascesa dell’Elbrus, realizzata nel 1874 dal team capitanato da A.W.Moore, una bufera di neve ha colto di sorpresa un gruppo di 19 alpinisti a una quota di circa 5400 metri. In 5 hanno perso la vita. 14 sono stati salvati in maniera eroica, in condizioni proibitive. 70 i soccorritori schierati in campo, 16 i veicoli impiegati. Le operazioni si sono concluse attorno alle 3 del mattino di venerdì 24 settembre.
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Come riportato dal comunicato ufficiale diffuso dall’EMERCOM (Ministero della Federazione Russa per la Protezione Civile, le Emergenze e l’Eliminazione delle Conseguenze dei Disastri Naturali) i 14 alpinisti sono stati accompagnati in discesa dai soccorritori, che hanno operato in “condizioni estremamente complicate per i forti venti, la scarsa visibilità e le temperature sottozero”, fino alla Azau Valley, ai piedi della montagna e affidati quindi alle cure dei medici.
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Contro la compagnia responsabile dell’organizzazione della salita è stato avviato un procedimento penale. Gli organizzatori hanno dal canto proprio dichiarato che nel team fossero presenti 4 guide di alta montagna professioniste.
Cosa è successo?
Quali sono i dettagli finora nota? Si sa che inizialmente il gruppo in salita fosse composto da 23 persone, ma 4 avrebbero deciso di tornare indietro. Nel corso dell’ascesa, una alpinista si sarebbe poi sentita male, tornando così indietro anch’ella accompagnata da una delle guide. La donna è morta poco dopo tra le braccia della guida. Sarebbe stata quest’ultima, dopo aver atteso per ore il ritorno dalla vetta del team, a decidere di scendere al campo base e lanciare l’allarme.
Il resto del gruppo avrebbe proseguito senza troppi turbamenti e intoppi fino alla cima. Nella fase di discesa ecco sopraggiungere la “bufera senza precedenti”.
Tutta colpa della natura? La ricostruzione dei fatti è ancora in corso, ma gli investigatori parlano già di un potenziale errore in fase di discesa: il gruppo in difficoltà si sarebbe infatti diviso in due per decisione delle guide. Le 5 vittime sarebbero morte assiderate. Nel corso della discesa sembrerebbe inoltre che uno degli alpinisti si sarebbe fratturato una gamba rallentando la “fuga” verso quote più basse degli altri membri del gruppo.
Le guide stesse non escludono di aver commesso un errore di valutazione. La guida Anton Nikiforov, come riportato da Euronews, non si dà pace: “C’era un forte vento e questo è stato uno dei motivi che avrebbe dovuto convincerci a tornare indietro. Anche se in altre occasioni ho scalato in queste condizioni – ha dichiarato – Ma questa volta è stato un problema e non mi sollevo dalle responsabilità”.
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In molti tra i superstiti hanno riportato congelamenti anche severi, grave ipotermia e fratture, e sono stati ricoverati in ospedale nella città di Nalchik. Secondo quanto riferito dal capo del Dipartimento russo per le Emegenze, Mikhail Nadezhkin, 8 sarebbero in condizioni critiche. Stando alle informazioni fornite dall’agenzia RIA Novosti, 2 alpinisti sarebbero stati ricoverati in terapia intensiva, 3 in traumatologia, 3 nel reparto grandi ustioni a causa degli estesi congelamenti e uno in chirurgia toracica.
Una bufera letale
Una bufera di eccezionale potenza, come è stata definita dai testimoni, con venti tra i 40 e 70 metri al secondo, forti precipitazioni nevose e temperature fino a meno 20°C. Ma non l’unica della stagione. Solo pochi giorni prima della tragedia dello scorso giovedì, un cittadino statunitense era stato infatti salvato dagli ufficiali dell’EMERCOM dopo aver lanciato un disperato SOS tramite satellitare, nel bel mezzo di una tempesta a 4957 metri di quota. Anche in questo secondo caso, come si evince dalle immagini che seguono, i soccorsi sono stati condotti in condizioni estremamente complesse.
Una scappatoia : forse la truna..sempre avendo a disposizione pale da neve..che dati i precedenti sarebbe stato prudente portare..e senza garanzie che potesse servire .
Fatto analogo avvenen sul Vioz decenni fa..anni ’70.(previsionimeteo non cosi’efficaci e localizzate e accessibili come oggi)Un componente della comitiva trentina mio collega di lavoro mi racconto’ per filo e per segno.Le guide accompagnatrici nostrane fecero scavare in fretta e furia 2 trune, stesero le corde sul pavimento nevoso per fare da isolante, ricoprirono con bastoncini, piccozze e teli , fecero usare tutto il vestiario portato, infilare piedi e gambe negli zaini e organizzarono turni di massaggiamento…e se la cavarono dopo 2 giorni di bufera.Poi ovviamente cure per principi di congelamento ai piedi..ma niente di grave.Tra le pratiche il bagnetto dei piedi alternativamente a ripetere in tinozza di acqua fredda e poi rituffo in acqua calda..