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Ueli Steck: Shisha Pangma 2014, dura polemica

Erano le 6,55 del 24 settembre 2014. Siamo sulla via normale dello Shisha Pangma.

Ci sono cinque uomini attorno ai 7.900 metri. Tre di loro vengono travolti e trascinati dalla neve per 600 metri: due sono tedeschi, Sebastian Haag e Martin Maier, uno è italiano, Andrea Zambaldi. Sul pendio ci sono anche  Benedikt Boehm e Ueli Steck  che fortunosamente rimangono all’esterno della massa nevosa che precipita.

Haag e Zambaldi muoiono. Maier sopravvive miracolosamente e rientra con i propri mezzi al campo 3.  Più di un anno e mezzo dopo Martin, con un’intervista a “Bergsteiger”, ha riaperto una dura polemica sulla vicenda.

Lui è un ingegnere quarantaduenne che ora dice: “Il tempo non guarisce tutto – né le ferite né l’amarezza per il fatto che le persone si fanno belle a scapito degli altri”. Maier accusa Boehm e Steck di averlo abbandonato e di non aver detto la verità.

Il contesto di quel 24 settembre è il seguente, ricostruibile in parte anche da un video di Maier.

Dal video e dalla testimonianza si può capire che Haag aveva causato la rottura dello strato nevoso del pendio e quindi l’avvio della valanga. A suo tempo queste immagini erano state tagliate su richiesta di Benedikt, per non turbare i genitori che avevano perso il loro figlio. Ma successivamente questo strano occultamento di verità aveva causato dubbi e polemiche.

Shisha Pangma versante nord
Shisha Pangma versante nord

Nel febbraio 2015, alla fiera ISPO a Monaco, dopo quattro mesi dall’incidente, Steck aveva detto che solo per fortuna lui e Boehm si erano trovati sopra a dove era partita la valanga, che li aveva solo sfiorati. Ora il giornale “Bergsteiger” mostra una fotografia dove l’alpinista svizzero sale come penultimo del gruppo. Ueli Steck precisa le sue precedenti dichiarazioni dicendo che di fatto lui era più alto rispetto alla cresta, ma non sopra gli altri.

Dichiarazioni apparentemente contraddittorie che in questi casi favoriscono la non comprensione dei fatti.

Ma ciò che pesa ancor di più in questa tardiva polemica è l’accusa di Maier secondo cui Boehm e Steck avevano visto che qualcuno giaceva riverso nella neve in fondo al pendio dove si era fermata la massa nevosa, ma non solo non erano intervenuti, avevano comunicato  via radio che era impossibile attraversare il cono della valanga che li separava dai caduti.

Quindi non erano accorsi in aiuto , ma affermando che il pericolo era troppo alto e che non c’erano  possibilità di farcela, avevano di fatto impedito ad altri di prestare soccorso.

Boehm ha spiegato al giornale tedesco “Sueddeutsche Zeitung” che quella di non attraversare il cono di valanga era stata “la decisione più difficile della mia vita che mi perseguiterà per il resto della mia vita”.

Così come Boehm, Steck sottolinea che dopo essere scesi loro stessi avevano tentato di tutto per raggiungere il superstite, ma il pericolo di caduta di altre valanghe non poteva essere misurato. Ueli sostiene di aver discusso il da farsi con Suzanne (Hüsser di Kobler & Partner ndr). Stupisce molto che un alpinista della capacità ed esperienza di Steck debba rivolgersi a “Suzanne” per decidere che fare in caso di soccorso e di un intervento squisitamente alpinistico. Quelli che lo hanno sentito via radio, che sono in comune tra gli alpinisti e le conversazioni vengono ascoltate da tutti, dicono che Steck era parecchio scosso dagli eventi.

Steck si difende ancora  dicendo che è facile ora attaccare lui e Benedikt Boehm, ma in quel  momento sulla montagna non era così semplice decidere. Criticare ora è certo facile, ma il tragico epilogo è stato causato da una valanga innescata dall’intero gruppo.

Polemiche che scuotono l’alpinismo d’alta quota svizzero e tedesco, chi se ne occupa non lo fa solo dai salotti delle belle case alpine sotto il Matterhorn, ma su testate giornalistiche di peso, alpinistiche e non.

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3 Commenti

  1. Trovo la polemica a quasi due anni di distanza fuori luogo. Anche secondo me ora è troppo facile sparare sentenze, su ciò che era o non era possibile fare. Ricordo un video del giorno prima o di due giorni prima in cui Haag era l’unico a voler andare avanti nonostante fosse stato redarguito che fosse troppo pericoloso. Trovo tra l’altro l’intero progetto “Double Eight” in cui si è consumata quella tragedia, una gran forzatura.

  2. Che strani questi alpinisti estremi sempre pronti a prendere posizione contro qualunque divieto o limitazione presi in nome della sicurezza che poi, trovatisi in difficoltà pretendon di essere soccorsi in nome della libertà di vivere la propria avventura!!! se avventura deve essere….

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