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Marmolada: chi vuole un nuovo impianto?

ROCCA PIETORE, Belluno — È uno scontro che non si placa, quello sugli impianti di risalita per la Marmolada. Dopo la diatriba, risolta da tempo, tra gli ambientalisti di Mountain Wilderness (e del loro portavoce Luigi Casanova) e la società di Vascellari, proprietaria degli impianti che arrivano a Punta Rocca da Malga Ciapela, l’ipotesi di costruire nuovi impianti anche dal Trentino ha fatto insorgere più parti.

L’Ingegner Mario Vascellari

La Provincia di Trento ha ipotizzato un progetto che pare non soddisfare nessuno. Gli operatori del turismo e gli amministratori della Val di Fassa, contrastati da ambientalisti e UNESCO, vorrebbero avere l’impianto con arrivo sulla cresta della Regina delle Dolomiti, proprio dove giunge già il terzo tronco della funivia che parte da Malga Ciapela. Che già a suo tempo aveva fatto molto discutere. “Era il 1965. Alcuni imprenditori, tra cui mio padre, pensarono a un impianto innovativo che, per essere messo in opera, prevedeva grandi difficoltà tecniche”, spiega l’Ing. Mario Vascellari. “La funivia, che copre un dislivello di 2000 metri ed è suddivisa in tre tronchi, è entrata in esercizio fra il 1969 e il 1970. Poi, tra il 2004 e il 2006, è stato necessario un aggiornamento della struttura”. I lavori hanno fatto insorgere Mountain Wilderness, secondo cui si stava effettuando “uno sfregio di carattere ambientale”. “In seguito a una denuncia, ci siamo dovuti confrontare in sede legale”, continua Vascellari. “Gli ambientalisti ci contestavano di aver inciso sull’equilibrio del ghiacciaio per la costruzione di una “strada” per il passaggio dei gatti delle nevi per arrivare in cima – avevamo già valutato che, per via delle condizioni climatiche, non era possibile intervenire con gli elicotteri -. In realtà non avevamo costruito nessuna strada, ma utilizzavamo la pista già esistente. Alla fine, le accuse di danno paesaggistico e ambientale sono cadute, in quanto i periti esterni hanno valutato che non c’era stato alcun danno. Siamo stati invece condannati per un illecito amministrativo: in sostanza, non risultava la richiesta del permesso per salire coi gatti delle nevi. In realtà avevamo il permesso, ma dalla Provincia di Belluno, quando la potestà territoriale era “già” passata alla Provincia autonoma di Trento. Un cavillo, insomma… Ma l’appoggio mediatico alla vicenda è stato clamoroso”.

Vascellari e Mountain Wilderness, alla fine, sono giunti a un’intesa. “Perseguivamo lo stesso obiettivo, quello della qualità ambientale, solo con due approcci diversi, uno più etico e uno più economico. Abbiamo perfino stilato un Manifesto della Marmolada, con degli step metodici che potrebbero diventare un benchmark per altre realtà alpine. Ma, a parte alcuni progetti che stiamo portando avanti con la nostra società – come l’ottimizzazione dell’innevamento artificiale tramite particolari strumenti che permettono di mappare il territorio e rilevare la profondità della neve per poi innevare solo dove c’è bisogno, con grande risparmio energetico e dell’uso dei battipista – da parte degli enti pubblici non c’è stato alcun interesse”.

La potestà territoriale dell’area della Marmolada, in seguito alla rinuncia della componente veneta, è rimasta al Trentino. Che, in un protocollo di intesa, si era impegnato a operare anche per lo sviluppo della zona del Bellunese. Ma ciò non è mai avvenuto: “Gli impegni sono stati disattesi al 100 per cento”, afferma Vascellari. “Almeno fino al 2015, quando con due delibere della Giunta Trentina è stato formalizzato un progetto per accedere al ghiacciaio da due versanti, bellunese e trentino. Un progetto che però ha lasciato l’amaro in bocca a tutti: il mancato accesso da passo Fedaia scontenta il Veneto, l’infattibilità di arrivare fino a Punta Rocca i Trentini”.

Bisogna fare di necessità virtù : “Un impianto fino a Sass Bianchet costituirebbe un buon compromesso, rispettoso dell’ambiente, con la possibilità di scambio in quota di sciatori che salgono dal versante trentino e da quello bellunese della Marmolada. Supportato dalla messa in sicurezza della strada lungo il lago di Fedaia che da Arabba porta a Malga Ciapela e da un autobus elettrico che la percorre per collegare alla base i due versanti le stazioni. Un impianto diverso non è realizzabile: per superare il “dosso” di Sass Bianchet, ci vorrebbero dei piloni di sostegno alti 50-60 metri con ricadute ambientali di una violenza inaudita. Non lo approverebbero gli ambientalisti, forse lo vorrebbero gli operatori di passo Fedaia e il sindaco di Canazei. Ma i compromessi sarebbero enormi”.

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