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Everest, tutto bene? No! La CNN racconta la storia straziante di Maria

“Sono distrutto dal dolore per la morte di mia moglie: la vetta dell’Everest non significa nulla senza l’amore della mia vita al mio fianco”. La CNN riapre i giochi e Channel 7 in Australia mette in onda un servizio commentando la morte di Maria Strydom, ci sono le interviste al marito Rob, alla sorella e alla madre Maritha Strydom.

Maria e il marito Robert Gropel sono a Colle Sud a 8000 metri, si erano preparati per un anno a questo momento; lì c’è campo 4, quando è ancora notte salgono lungo la corda fissa, in coda. “Si sentiva forte, stava camminando, voglio dire, lei era a breve distanza perché era ancora piuttosto debole, ma stava camminando bene, molto lentamente, ma andava tutto bene. Stava parlando, non so cosa è accaduto”. E poco dopo, a un certo punto, Maria inizia a soffrire gravemente di allucinazioni e l’enorme stanchezza che l’ha colpita la precipita nel mal di montagna. Robert non se ne rende conto ed anche se pure lui non è al massimo e decide di continuare, Maria lo aspetterà per scendere insieme a campo 4.

Maria è una delle due persone che in quelle ore non ce l’hanno fatta a tornare a casa vive e ogni anno molti altri soccombono per gli effetti devastanti sulla vita a 8 km sul livello del mare.

“Salire da solo fino alla cima dell’Everest non è stato qualcosa di speciale per me perché Maria non era lì, sono andato semplicemente su e giù, ma quello che avevamo fatto insieme invece era molto più importante”, ha detto Robert domenica notte in una commovente video-intervista. Robert si sente in colpa: “Perché io sono il marito, era il mio dovere proteggere mia moglie e riportarla a casa”.  La criticità delle sue condizioni è diventata evidente il 20 maggio, quando la coppia era partita dal colle sud a circa 800m dalla vetta.  Maria era troppo affaticata e prostrata per proseguire. Si è fermata e poi ha iniziato a rientrare al campo, al suo ritorno Rob era in uno stato confusionale e di fatto non si è reso conto di dove fosse Maria e si sono separati.

“Maria ed io abbiamo trascorso 30 ore oltre il campo quattro”. Rob al rientro al colle Sud soffre di edema polmonare e cerebrale. È al limite di sopravvivenza anche lui e in quel suo stato di narcosi è   convinto che gli fosse stato detto che Maria era già stata avviata verso il basso, verso la salvezza. “Camminavo 10 metri e mi sedevo per dormire, poi un gruppo di alpinisti mi ha svegliato e ho chiesto loro di controllare il mio ossigeno: mi hanno detto che era vuoto e hanno detto che dovevo scendere o sarei morto. Sono sceso altri 10 metri e mi sono di nuovo seduto nella neve a dormire. Ero completamente esaurito.” Infine lo hanno portato giù è si è salvato.

Maria ed il marito durante la precedente spedizione

La considerazione da fare è che l’ossigeno, che Maria e Rob avevano sulle spalle, era finito sicuramente da molto tempo se dalla loro partenza al rientro al campo quattro di ore ne erano passate 30. Basta fare un calcolo: due bombole a 250 atmosfere di pressione per tre litri di volume, equivalgono alla disponibilità di 1500 litri di ossigeno respirabile a testa. Una erogazione “normale” per salire l’Everest è di 3 litri al minuto, dunque la disponibilità di Rob e Maria, ma di quasi tutti gli alpinisti è di 500 minuti, che equivale a poco più di 8 ore circa. Anche se le bottiglie fossero state di 4 litri, quelle più vecchie, si sarebbero svuotate con largo anticipo rispetto alle 30 ore passate fuori e dunque, Rob e Maria si sono trovati sopra gli ottomila metri per un lungo periodo, dopo aver assunto ossigeno e interrotto quest’assunzione nel mezzo del loro sforzo. Altra considerazione riguarda le bombole, spesso, rimanendo in giro per mesi, sono a pressione molto inferiore ai 250bar, i manometri visti nelle spedizioni lasciano a desiderare e infine andrebbe fatta una considerazione sulla qualità dell’ossigeno, che deve essere puro e che viene pompato nelle bombole. Siamo sicuri che sia ossigeno puro? Capita anche in Europa che miscele strane, piuttosto che percentuali di concentrazioni diverse, finiscano nelle bombole causando non pochi guai anche negli ospedali. E qui stiamo parlando di bombole ricaricate non si sa dove e con quali garanzia.

Rob barcolla privo di lucidità e spesso di coscienza, lungo la discesa verso il campo 2, accompagnato da sherpa e altri alpinisti. Anche Maria viene recuperata lassù a 8000 metri, ancora viva, e avviata verso il basso. Anthony Gordon, il coordinatore della spedizione, ha guidato via radio i soccorsi da campo quattro verso lo sperone dei ginevrini e poi le fasce gialle e poi a campo tre sulla parete del Lhotse, consigliando la squadra affinché mantenesse Maria in movimento facendola parlare per mantenere un minimo di attenzione. Ma verso campo tre attorno ai 7300 metri Maria peggiora rapidamente, dice parole senza senso e ha allucinazioni. “Sapevo che era in difficoltà,” ha affermato Rob. La loro unica speranza era quella di continuare a scendere, ma era troppo.

Maria è morta su un soleggiato terrazzo di ghiaccio, in un chiaro venerdì mattina, sull’Everest.

Per Maria a e Rob il tentativo all’ Everest era l’ultima tappa del progetto di scalare le sette vette più alte della Terra. Lo stesso giorno della tragedia di Maria e Rob, Alyssa Azar di 19 anni è riuscito a diventare l’australiano più giovane a salire sull’Everest. “Maria e Rob erano ben più che esperti, avevano buone credenziali, erano mentalmente pronti, fisicamente a posto e avevano fatto tutte le cose giuste. Erano pronti per questo.” Hanno detto i loro compagni d’avventura.

Non è ancora noto esattamente ciò che ha ucciso Maria e non è detto che lo si saprà mai.

Per la famiglia di Maria, la notizia della sua morte è stata resa più straziante per il fatto d’aver appreso che il suo corpo sarebbe rimasto sulla montagna fino a quando si sarebbe potuto organizzare il recupero. La madre e la sorella erano “ossessionate” dal pensiero dell’Everest. “Ho momenti in cui sono incredibilmente triste e altri sono arrabbiata e cerco di capire la causa e le responsabilità dell’accaduto, mia sorella conosceva i rischi dalle sue numerose spedizioni, ma c’era qualcosa di diverso questa volta all’ Everest. Per la prima volta, prima della loro partenza, abbiamo ricevuto una e-mail con un allegato “le nostre volontà”. Non lo avevano mai fatto prima”. Anche la madre non sa darsi pace “Questa volta ho sentito che dovevo volare a Melbourne e andare a salutarli e abbiamo trascorso un fine settimana meraviglioso insieme.”

Maria era dotata del sistema che la rendeva tracciabile con il satellite e la fase finale verso la vetta era seguita dalla famiglia da casa: “mi sono preoccupata quando il ping si è fermato, allora abbiamo iniziato a chiamare al telefono, ma nessuno ci ha potuto dare una risposta”, ha detto la madre alla CNN in un’intervista da Brisbane, Australia. “Così l’altra mia figlia cercando in rete ha saputo dall’Himalayan Times che mia figlia era morta.”. È sconvolta dal fatto che ha dovuto apprendere della morte della figlia su Internet: “”Per due, tre giorni non una parola,” ha detto. Qualcuno finalmente l’ha chiamata tre giorni dopo. “Sono molto, molto preoccupata. Sono preoccupata per un sacco di cose”, ha aggiunto: “Nel loro itinerario è stato suggerito che dovevano dormire a campo 3 per acclimatarsi. Non l’hanno fatto.” e continua “Ho imparato in questi giorni che gli scalatori dell’Everest come Maria sono da soli, nonostante la grande quantità di denaro che pagano alle agenzie di spedizione. Maria non è stato seguita, subito medicata o rapidamente portata in salvo e ricoverata quando si è ammalata. Erano praticamente da soli, quando hanno scoperto tragicamente di dover gestire da soli dei problemi di altitudine e della salvezza delle loro vite”.

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