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Nanga Parbat, rieccoci

 

Fu vera gloria? Si chiedeva il Manzoni di uomini e questioni ben più planetari e che certo nulla avevano a che fare con il salire le montagne.

Ma riferendosi al piccolo mondo delle alte quote se lo chiese per anni un signore che fece la storia dell’alpinismo e che sul K2 qualche torto l’aveva subito. Se lo domandarono anche altri, dalla Patagonia alle più alte vette dell’Himalaya. Non rimase esente dalla querelle il Nanga Parbat e nemmeno la conquista dell’Everest, per non parlare di quella francese dell’Annapurna.

Certo la storia degli alpinisti conta per quel che valgono le montagne e queste ultime per quello che gli uomini son disposti ad accreditare loro con i propri sogni, le imprese i risultati. Il Nanga in inverno è un gran bel risultato, non c’è dubbio. Il dubbio è semmai se il risultato sia stato ottenuto con lealtà nei confronti della montagna, degli uomini che la salgono e delle regole, che non sono scritte, ha ragione Moro, ma che ci sono eccome.

Non riesco ancora a metabolizzare l’auto-intervista di Nardi: al di là del merito della questione, di certo smentisce che la sua caduta sulle rocce sotto campo due fosse una messa in scena come qualcuno aveva affermato. Altrimenti bisognerebbe proporlo per le nomination all’Oscar. E poco importa che qualcuno dica che Txikon non ha mai scritto d’aver rotto con Nardi: lo ha scritto la sua portavoce e compagna di spedizione dal campo base pubblicandolo ufficialmente sul sito di Alex. E il post Facebook di Tamara Lunger, pieno di felice ecumenismo alpinistico, che sparisce dal web dopo poche ora dalla pubblicazione, non rassicura certo, anzi inquieta, se così si vuol dire.

L’arroccamento degli dei sul monte Olimpo dell’informazione e della gloria alpinistica ha poi abbagliato tutto e tutti coloro che hanno cercato di capire e qualche fulmine ha abbrustolito i più curiosi.

Guai ai vinti. Frase anche questa usurata, ma sempre d’attualità anche nel piccolo mondo del Nanga Parbat, che Moro ci dice contenere 40 volte il Monte Bianco, e in quello grande della storia. E ben lo sapeva Nardi che per “quaranta” giorni, dopo esser partito da Islamabad, s’è rifugiato nel deserto della non comunicazione.

Ma che accidenti è accaduto sul Nanga Parbat? Me lo sono chiesto parecchie volte. Ho pure ricevuto delle risposte quando ero a Islamabad, ma sicuramente hanno poco a che vedere con la verità che Nardi ci racconta nella su auto-intervista. Ma forse non me ne importa, ora, più nulla.

Mi viene in testa la favola moderna di Giuseppe Pompili, che preso dall’ossessione della vetta del K2, volle raccontarla più lunga di quel che in realtà forse era, o che altri sospettavano fosse: il dubbio rimane ancora. Disse, ritornato al campo base, che lui sulla vetta del K2 quel 26 luglio del 2014 era salito, insieme a una trentina di altri tra sherpa, alpinisti pakistani e internazionali. Nessuno l’aveva però visto lassù, nemmeno i suoi compagni di spedizione (commerciale) tra cui Tamara Lunger. Sarà stato l’affollamento. A Bologna al CAI arrivò una lamentazione pubblica sul Pompili e la sua impresa ed immediatamente venne costituita una Commissione per appurare la verità, interrogando persone in Italia e all’estero. Io risposi francamente per quel che sapevo e che forse non era il caso di dare tanta importanza a un episodio dopotutto marginale nella storia del K2.

Ieri sera ho pensato la stessa cosa di questa pagina grigia della storia del Nanga in invernale.

Ma Simone Moro proprio con un’intervista di queste ore suggerisce ad ogni appassionato di godersi la festa della sua impresa sulla montagna e dell’alpinismo universale. Un’olimpiade vinta, ci dice. Tomeck Markiewicz invece, che con Simone era sulla via Messner sul Nanga Parbat, per intenderci quella sbagliata per arrivare in cima d’inverno (lo disse pure Messner), schizza veleno dalle pagine dei rotocalchi polacchi e ci inforna che secondo i suoi accuratissimi calcoli geofisici, non si conoscono le sue reali competenze in materia, la vetta non è quella raggiunta né da Txicon, Ali e Simone, ma nemmeno da Hermann Buhl nel lontano1956. Delirio o precognizione scientifica?

Caro Nanga Parbat, per anni ho rifiutato di seguire le vicende invernali di Nardi, seppur il tentativo sulla via Mummery era veramente stupefacente, un’onirica iperbole alpinistica: mi spiaceva vedere le ambizioni di Daniele sbattere il muso contro la parete Diamir. Ma l’anno scorso quasi ce l’aveva fatta con Alex Txikon, che aveva accolto verso fine stagione in cordata con Alì, che  immaginava fosse  un alpinista amico, al suo pari. Lo stesso Txikon che quest’anno a fine spedizione ha spedito in giro fatture e fogliettini per spiegare una bega, di cui poco importa a chiunque se non a loro due, e che sospetto che di economico poco aveva.

Quest’anno mi son fatto invece fregare. E non è finita.

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