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Media cannibali della montagna

Testo di Lorenzo Scandroglio

AOSTA — In questi giorni alcune valanghe si sono staccate facendo varie vittime tra l’elvetico Canton Vallese, il Monte Bianco e la Valgrisenche. Tanto per cambiare, la superficialità dell’informazione l’ha fatta da padrona. E non ci riferiamo all’uso di un lessico sensazionalistico che fa in generale dei media, in particolare di quelli italiani, il peggiore monitor di quanto accade nel mondo dell’alpinismo; ma all’approssimazione con cui si trattano questioni che toccano l’umanità e la professionalità delle persone, specie quando ci sono di mezzo dei professionisti della montagna.

Quelli di questo tragico aprile sono solo gli ultimi di una secolare serie di incidenti che, da quando gli uomini hanno cominciato a salire le montagne, hanno avuto per protagonisti appassionati, alpinisti, guide alpine, il cui destino talvolta è stato deciso dalla corda che li legava, tal altra da itinerari o scelte sbagliate. La casistica, in un così ampio arco temporale, presenta un vasto repertorio: ci sono stati i solitari, le cordate di amici, i clienti con la guida alpina. Ora, dopo una lunga serie di casi, quello della valanga al Rutor, in Valgrisenche (Aosta), di mercoledì 20 aprile: la valanga ha investito alcuni scialpinisti amici che si conoscevano da molti anni e che, con pari dignità e capacità, salivano frequentemente le cime delle alpi. Fra questi uno era guida alpina. Due giorni prima, il 18 aprile, un’altra valanga aveva investito la cliente di una guida durante un accompagnamento che, per quel che si sa, era di tipo professionale.

Sul piano giuridico, dal punto di vista della responsabilità, i due casi presentano delle differenze. Chi prende le decisioni è responsabile. E di solito, quando una guida accompagna un cliente nell’esercizio della propria professione, prende le decisioni. Ma le guide alpine non sempre lavorano. Sono essi stessi degli esseri umani che vivono una loro vita privata, e capita spesso che scalino le montagne con amici, findanzate e fidanzati. Certo, anche in questa situazione, alle guide alpine – in quanto professionisti esperti – potrebbe essere attribuita una qualche responsabilità, sempre che contribuiscano alle scelte in dinamiche amicali che, come si sa, sfuggono alla logica. Ma la questione è un’altra. A noi qui non interessa il nodo giuridico, bensì l’etica e la qualità dell’informazione.

Quando ieri e oggi, importanti quotidiani e agenzie e quant’altri hanno dato notizia dell’accaduto, parlando della “guida alpina che accompagnava le vittime”, hanno verificato se la tal guida alpina, facente parte del tal “corpo delle guide”, stava accompagnando oppure no, prima di pubblicare l’articolo? E se non l`hanno fatto, perché hanno pubblicato anche nome, cognome e località di provenienza di una persona, sottoponendola a una gogna mediatica preventiva? La guida in realtà – noi l’abbiamo verificato – era in gita con degli amici, amici con cui condivideva la passione e l’esperienza della montagna da diversi anni. La conclusione é semplice: qui – occorre dirlo con chiarezza – si toccano non solo le corde “emozionali” di chi é coinvolto, ma anche quelle professionali. E quando la notizia è infondata, non c’è diritto di cronaca che tenga. A nostro giudizio, per riparare il danno etico e materiale, non basterebbe la querela, e nemmeno la segnalazione all’albo di chi, l’informazione, dovrebbe sempre, scrupolosamente controllarla.

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