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SHERPA: una storia tra la vita e la morte – recensione

Mentre sull’Everest le spedizioni sono tornate e gli Sherpa stanno attrezzando il percorso verso gli 8000 metri di Colle Sud, Discovery Channel ieri sera ci ha proposto il film documentario “Sherpa”, nominato ai BAFTA 2016.

Il racconto, a momenti drammatico, della storia di un popolo che da sempre ha nelle proprie montagne una ragione di vita e di morte. Dal Tibet alle basse valli del Nepal era questo il percorso delle carovane per portare il sale delle miniere di salgemma ed il riso coltivato sulle basse colline e nelle pianure del Terai.

Una passione e un amore per le proprie montagne, le tradizioni ed il lavoro che questi uomini tenaci e donne forti hanno riversato nel mestiere che da decenni li rende i più leali alleati degli alpinisti in cerca di “gloria”.

Da sempre il lavoro duro delle spedizioni alpinistiche, e quello pericoloso, è stato fatto da loro e la “conquista” degli ottomila e dell’Himalaya deve a loro gran parte del merito. E’ altrettanto vero che senza gli alpinisti e i trekker non ci sarebbe stato lo sviluppo socioeconomico che li ha resi, soprattutto le ultime generazioni, il popolo mediamente più “ricco” del Nepal, non solo economicamente, ma anche dal punto di vista dell’istruzione e della professionalità.

“Sherpa” racconta dunque la contraddizione che a un certo punto emerge nella vita di questo popolo, la dicotomia tra sicurezza, diritto alla salute e alla vita e la ricerca del benessere economico.

Il 18 aprile del 2014, era un venerdì, all’alba un team di Sherpa stava attrezzando l’Ice Fall, la cascata di ghiaccio che porta verso campo uno sul percorso verso la cima dell’Everest. È il tratto più pericoloso, perché si sviluppa dentro un coacervo di torri instabili, di ghiaccio e crepacci che scivola verso il basso alla “folle” velocità di un metro al giorno. Un crollo di blocchi investe le cordate che salgono a portare e attrezzature in alto e gli “Icefall doctors”, ossia coloro che giornalmente tengono aperto il percorso con corde fisse e scale d’alluminio. Si contano 16 ragazzi e lavoratori i morti, molti i feriti. La tragedia personale diventa con il passare delle ore dramma collettivo per la consapevolezza che si fa strada con la velocità di un fiume himalayano tumultuoso che tutto travolge: fare gli sherpa sull’Everest è pericoloso, è un rischio mortale. Quel che da sempre era stato nascosto dietro la necessità di lavorare, di “fare la stagione”, ora era chiaro, brillava nel sole del campo base.

E le spedizioni commerciali, quelle che da anni imperversano sull’Everest e che hanno permesso il costituirsi di piccole fortune nella valle del Khumbu, non sono più tanto amiche.

Impietosa la regista, Jennifer Peedom, mostra l’epilogo della lite tra gli Sherpa e un Simone Moro tiratissimo, che chiede scusa ripetutamente e che viene preso a sberle e a calci per aver insultato gli sherpa. Un episodio sintomatico della tensione che si era accumulata sulla montagna per ragioni diverse, ma sempre legate alla gestione economica della salita dell’Everest.

Impietosa lo è anche verso il “magnate delle spedizioni commerciali Russell Brice”, che cerca di rendersi attento alla salute e sicurezza dei suoi numerosi collaboratori nepalesi, ma con una priorità sempre nella testa: accontentare i suoi clienti che hanno pagato 60.000 dollari perché l’organizzazione dia loro un momento di gloria sulla montagna più alta della terra. Poco importa come raggiunta.

Un buon risultato quello ottenuto da questo film, sia per il racconto attento della storia, sia per la qualità delle immagini, propiziatori è stato il fatto che proprio nell’aprile del 2014 due troupe si trovassero contemporaneamente sul monte Everest. La regista Jennifer Peedom e il suo team stavano lavorando a un documentario sull’imminente stagione di scalata dal punto di vista degli Sherpa ed il tentativo record dello Sherpa Phurba Tashi di raggiungere la cima dell’Everest per la ventiduesima volta. Era presente anche una troupe Discovery in quei giorni, che si preparava a filmare un evento live con protagonista lo scalatore americano Joby Ogwyn, amante degli sport estremi, che prevedeva di salire sulla vetta e poi lanciarsi in diretta con una speciale tuta alare.

Una decisione difficile dice Jennifer Peedom: “Ero combattuta, ma credo sia stato giusto documentare quel momento storico: il fatto che gli sherpa si siano uniti, pur nel dolore, per rivendicare le loro esigenze e far valere i loro diritti; che abbiano acquisito consapevolezza del loro ruolo nel business dell’Everest, chiedendo al governo maggiori tutele e garanzie sulle proprie condizioni lavorative; che ci fosse un conflitto tra la loro cultura e la spiritualità con cui vivono la montagna e l’approccio commerciale delle spedizioni occidentali; soprattutto, quanto sia fragile l’ecosistema himalayano e quanto sia potente la montagna”.

“Si tratta di un film forte ed emozionante”, ha dichiarato il Presidente di Discovery Channel Rich Ross” e noi, dopo averlo visto, siamo d’accordo con lui.

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