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Montagne a Milano: la medicina di montagna tra presente e futuro. Un indispensabile supporto all’attività escursionistica e alpinistica

MILANO – Il convegno ha avuto luogo sabato 12 marzo 2016 con inizio alle 9,40 presso l’aula Alessi di Palazzo Marino a Milano.

Ha aperto i lavori   Luigi Festi, presidente della Commissione Centrale Medica del CAI, e moderatore del convegno, parlando del presente e  del futuro della medicina di montagna, con particolare riferimento alle popolazioni di montagna, alla prevenzione e a come affrontare la montagna per i portatori di patologie di tipo cronico.

Il medico nepalese Buddha Basnyat di Kathmandu, presidente dell’ISMM (International Society of Mountain Medicine) ha tenuto una lectio magistralis, parlando delle patologie di alta quota. Ha parlato dell’importanza della prevenzione e della pre-acclimatazione e  dell’acclimatazione, fondamentali prima di un trekking o di una spedizione in alta quota.  Oltre a trekker e alpinisti in Himalaya si trovano molte popolazioni e militari (Hindu Kush e Karakorum) che vivono in alta quota.  I Tibetani sono avvantaggiati dal punto di vista genetico rispetto ai popoli andini perché hanno vissuto per oltre ventimila anni in alta quota. Gli andini hanno vissuto in alta quota per circa diecimila anni, quindi, sono più soggetti a patologie quali la policitemia ( aumento dei globuli rossi) e al male di montagna di tipo cronico. Tibetani e Sherpa presentano uno straordinario adattamento all’alta quota. Buddha ha parlato delle moltitudini di pellegrini che si muovono in Himalaya, anche in alta quota, andando incontro a problemi medici seri, quali il male acuto di montagna, l’edema polmonare e l’edema cerebrale d’alta quota. Buddha ha parlato di comorbidità, dovuta alla concomitanza di malattie quali il diabete o di altre malattie croniche che si possono associare alle patologie di alta quota, peggiorando le condizioni generali dell’individuo.

Alberto Zoli, direttore di  AREU Lombardia, ha parlato della situazione del  118 in Italia, dicendo che è già attivo a Roma e in Lombardia il servizio 112, secondo le nuove normative europee. Ha sottolineato la necessità  di un prudente e consapevole approccio alla montagna da parte di chiunque la frequenti. Ha illustrato le nuove normative che prevedono una partecipazione economica per i voli di elicottero non sanitari, quindi senza una corretta indicazione. E’, infatti, il CNSAS che decide se far pagare o meno la quota di partecipazione in base all’appropriatezza del soccorso richiesto. Entro la fine del 2016 30 milioni di cittadini potranno fruire del servizio 112, mentre entro il 2019 tutta l’Italia ne potrà usufruire. Zoli ha parlato dell’ APP “Where are you” che permette la localizzazione di un individuo vittima di incidente in montagna, facilitandone il ritrovamento. Occorre una corretta cultura della prevenzione e un corretto trattamento del paziente sul campo, incrementando la sensibilizzazione di guide alpine e  alpinisti. Occorre aiutare chi è in difficoltà e formare tutti coloro che operano dell’ambito del CNSAS.

E’ seguita la comunicazione di Mario Milani, direttore sanitario del CNSAS, membro della Commissione Medica della CISA-IKAR, che ha parlato di diagnosi e cura dell’ipotermia. Si tratta di una situazione clinica a volte non correttamente diagnosticata, che può verificarsi anche in periodo estivo. Occorre saperla riconoscere in tempo. Esistono centri di riferimento ( in Lombardia: Bergamo, Lecco e Varese) dove trasportare i pazienti ipotermici gravi per un corretto trattamento.

Gianfranco Parati, primario di Cardiologia  dell’ Istituto Auxologico, dell’ Università della  Bicocca di Milano, ha tenuto una relazione riguardante il paziente cardiopatico in montagna. In passato i cardiologi erano molto rigorosi e non consentivano ai loro pazienti di frequentare la montagna. Ora, la situazione è cambiata. Occorre un’attenta valutazione per decidere chi può andare in montagna e cosa può fare. La diminuzione della pressione atmosferica e, quindi, dell’ossigeno, rappresentano un problema per i cardiopatici. L’ipossia acuta, ovvero la diminuzione dell’ossigeno, determina una vasocostrizione a livello dell’arteria polmonare e una vasodilatazione a livello delle arterie periferiche.  Nei coronaropatici il rischio è ovviamente maggiore. Il cuore in alta quota  lavora di più e riceve meno ossigeno.  Il cuore si contrae in quota in modo diverso, con una maggiore rotazione della punta.  L’alta quota può slatentizzare un episodio di tipo ischemico. Occorre impostare una terapia adeguata ad ogni singolo paziente. Il progetto “High Care Alps” con uno studio effettuato dal gruppo di ricercatori guidati dal Prof. Parati ha effettuato presso la Capanna Margherita, situata sulla punta Gnifetti nel gruppo del Monte Rosa ( 4459 m.) , uno studio sull’ipertensione arteriosa in alta quota, utilizzando un protocollo scientifico molto rigoroso. La pressione arteriosa sale abitualmente in alta quota, come pure la frequenza cardiaca. La pressione arteriosa aumenta  soprattutto di notte e nel corso dell’esercizio fisico. In quota aumentano le apnee centrali notturne. Si verifica un’attivazione del sistema  simpatico, quale risposta allo stress causato dall’altitudine. Nel 2102 Parati ha effettuato un altro studio in Peru, a Huancayo, sempre  per valutare l’andamento della pressione arteriosa in quota nei soggetti ipertesi, per studiare di quanto sale la pressione arteriosa e come si debba modificare la terapia per proteggere il soggetto iperteso e consentirgli   una esposizione alla quota in sicurezza. Parati ha effettuato anche studi medici nella regione dell’Everest in Nepal, con la più grande spedizione scientifica mai organizzata dal versante nepalese. Parati ha affermato che una volta non sapeva cosa consigliare a un soggetto iperteso che chiedeva se poteva andare in quota. Ora, invece, se il soggetto iperteso è in terapia e in compenso, può affrontare l’alta quota, ovviamente consultando, prima, uno specialista competente che lo possa valutare, concordando una eventuale modulazione della terapia. Occorre  anche verificare che non esistano patologie nascoste.

Guido Giardini, responsabile dell’Ambulatorio di medicina di montagna dell’Ospedale di Aosta, ha raccontato la sua esperienza presso questo centro, dove, tra l’altro, vengono effettuati i test da sforzo in ipossia, secondo la metodica messa  a punto dal fisiologo francese J.P. Richalet. Presso l’ambulatorio di medicina di montagna dell’ospedale  di Aosta vengono studiati tutti coloro che lavorano in quota quali guide alpine, soccorritori, lavoratori degli impianti a fune, maestri di sci, oltre ad alpinisti, escursionisti e chiunque desideri effettuare test in ipossia, ricevere consigli o  risposte ai propri quesiti di tipo sanitario.

La mattinata si è conclusa con gli interventi di Jason Williams e Darryl Macias dell’University of New Mexico, USA, che hanno illustrato la loro esperienza nel campo della formazione del personale sanitario dell’emergenza e del medico di spedizione.

E’ seguita una tavola rotonda, in tarda mattinata, con la partecipazione di tutti i relatori.

Nel pomeriggio ha avuto luogo la seconda sessione del convegno dal titolo  “Più sicurezza per tutte le stagioni”.

Lorenzo Craveri ha spiegato come consultare e leggere le previsioni meteorologiche. Umberto Pellegrini ha aiutato a scoprire come nascono le previsioni meteorologiche. “Dai soccorsi possibili alla cultura della prevenzione” è stato il titolo della relazione di Elio Guastalli.

Poi, Riccardo Marengoni ha presentato la relazione “Camminare in sicurezza: i sentieri”, parlando dei rischi e della prevenzione. Matteo Bertolotti ha parlato delle scuole di alpinismo del CAI e della formazione degli alpinisti di oggi e di domani, facendo riferimento alla cultura della sicurezza.

Martino Brambilla ha parlato, invece, di sicurezza che è progettualità educativa, con riferimento all’esperienza dell’Alpinismo Giovanile nel CAI.

Elisa Rodeghiero ha illustrato l’evoluzione dei rifugi e  dei frequentatori , ovvero del rifugio e della sicurezza alpina.

Infine, Alessandro Gogna ha chiuso il Convegno con un intervento dal titolo “La ricerca dell’autoresponsabilità”, illustrando il punto di vista delle Guide Alpine, e il rapporto tra pericolo, sicurezza, autoresponsabilità e libertà.

(G.C. Arazzi – C. Medica CAI Bergamo)

 

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