Montagna.TV

Everest e Monte Bianco. Maurizio Gallo: un pensiero da guida alpina

[:it]PADOVA — Il film Everest e il reality Monte Bianco. Storie diverse, ch mi hanno fatto riflettere. Entrambe sono criticabili per il ritmo troppo lento, mai entusiasmante, molte superficialità e una conduzione discutibile, ma entrambe mi hanno lasciato una buona sensazione e un giudizio positivo.
Due cose mi hanno profondamente colpito nel mio essere guida alpina.

Nel film Everest sono stato emozionato dallo sguardo di Rob Hall (ben interpretato da Jason Clarke) quando ha accettato di tornare in cima per il postino, suo affezionato cliente, che aveva sacrificato tutti i suoi risparmi per riprovare a salire l’Everest dopo il tentativo fallito per poche centinaia di metri nell’anno precedente.

Rob voleva riportarlo giù, era tardi e aveva capito che il suo cliente era troppo stanco, ma poi ha capito che doveva cercare di fare vivere il sogno della vita al povero postino. Lo ha portato in cima e poi hanno perso la vita entrambi per questo gesto di totale generosità, di cuore “di guida alpina”.

Nel reality, così criticato dai soliti saccenti difensori della montagna pura e sacra, che non smettono mai di rincorrere questa icona ideologica, spesso per mascherare una profonda e recondita invidia di non essere più protagonisti, ho trovato un forte messaggio sul lavoro di guida alpina, che è emerso in maniera evidente e positiva, proposto al grande pubblico della prima serata Rai che forse per la prima volta ha capito cosa fa una guida alpina, chi è una guida alpina, che cosa lo motiva a fare un mestiere così difficile.

Accompagnare persone in montagna non è facile, come non facile è far vivere loro le sensazioni profonde che la montagna offre: brave tutte le guide alpine coinvolte, nella loro semplicità di montanari, nelle loro poche parole, nella loro essenzialità.

Bravo Simone a non voler esagerare, a rimanere distaccato. E bravo per i consigli che da vecchio (parlo io!) saggio ha elargito, tecnicamente corretti e utili a tutti, ma anche positivi per far capire cosa rappresenta e dà la montagna.

Ma devo dire bravissimo alla guida alpina Matteo Calcamuggi. Bravissimo a portare legata alla sua corda Arisa su una cresta facile, ma proprio per questo difficile per la guida alpina che a corda corta deve garantire una sicurezza resa precaria ad ogni passo.

Nella sua sincera lacrima quando ha sciolto il nodo e ha “interrotto” la corrente che lo legava ad Arisa dopo una giornata per lui lunghissima e sicuramente durissima, in quella lacrima ho sentito passare tutti gli anni in cui ho diretto i corsi guide alpine, nei quali ho cercato di trasmettere agli allievi la passione per il nostro lavoro e l’importanza di dare ai clienti la stessa passione.

Matteo non è stato mio allievo, ma mi ha insegnato tantissimo con quella sua grande capacità di muoversi a corda corta, imparata dalla tradizione delle vecchie guide del Monte Rosa che in questa progressione sono maestri indiscussi, ma soprattutto per quel concetto di cordata a cui la guida si connette, legame di vita e di sensazioni reciproche, legame che supera e ignora un rapporto di tipo economico e lo trasforma in qualcosa che esprime quei valori della montagna che corrono proprio lungo quella corda.

Nessun altro che va in montagna può sentire cosa una vera guida alpina sente in quella corda e in quel nodo. Quella lacrima vale tutto il programma e molto di più!
Grazie Matteo!
Chapeau!

Se qualche guida non lo ha capito peccato, gli altri che criticano non mi interessano proprio: siamo su altre montagne.[:]

Exit mobile version