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Bonatti e il K2, quando i numeri fanno la differenza

Misurazione del K2

CAMPO BASE DEL K2, Pakistan — Desio, nel 1929, le montagne del Karakorum le misurava e studiava con uno oggetto molto semplice e dal nome curioso: la Tavoletta Monticolo. Uno strumento “speditivo”, in legno, che consentiva di prendere angoli, misurare di conseguenza distanze e altezze, per il resto c’era la sua esperienza di geologo.

Una mattina il Prof. mi telefonò a casa, era la primavera del 1987, e mi disse che voleva misurare Everest e K2, che c’era una strumentazione elaborata per fini militare che si chiamava GPS. Con questa e con i più moderni teodoliti e distanziometri avremmo misurato l’Everest e il K2. Mi chiedeva se mai fossi stato interessato a dargli una mano per la parte logistica.

Da allora abbiamo prima misurato Everest e K2 dai rispettivi campi base, poi in vetta dove abbiamo portato mire ottiche e GPS. La tecnologia si raffinava di anno in anno e gli strumenti diventavano più piccoli e maneggevoli, leggeri, facili da usare. Infine sull’Everest abbiamo portato un Georadar miniaturizzato per misurare lo spessore della calotta glaciale.

Tutto questo è nella storia della ricerca geodetica di queste grandi catene montuose. Alessandro Caporali e poi Giorgio Poretti con il suo gruppo dell’Università di Trieste, per anni e ancor oggi hanno lavorato a determinare con sempre maggiore esattezza l’altezza di queste montagne. Ma come Poretti ci dice sempre, questi sofisticati esercizi non sono fine a se stessi, la determinazione esatta di punti geodetici aiuta alla maggiore definizione del geoide, il modello matematico della crosta terrestre; il sempre maggiore e comune utilizzo di immagini da satellite necessita di punti certi di riferimento a terra, tutto questo contribuisce anche ad una cartografia sempre più precisa e dettagliata.

E poi l’altezza delle principali montagne é un fatto importante per la determinazione geografica dei territori. Lo è anche, per quel che conta, per gli alpinisti, quando ci si riferisce alla vetta e al percorso verso di essa, ma anche per comprendere la dinamica e i luoghi esatti di fatti accaduti salendo le montagne. Un caso per tutti, il più famoso: Walter Bonatti, K2 la verità, Baldini Castaldi Dalai editore.

Walter Bonatti Eric Abram K2 1954 (Walter Bonatti_K2 la verità_Baldini Castoldi Dalai editore)

Bonatti dopo 246 pagine scritte per dimostrare inoppugnabilmente le sue ragioni riguardo l’epilogo, avvenuto il 30 e 31 luglio 1954, della salita al K2, nel “riepilogo e conclusione” (luglio 2003) scrive: “Si tratta del vergognoso falso storico riferito alle false quote….”.

Certo oltre alla questione delle quote, quella terribile polemica che rese dolorosa una parte della vita di Bonatti, fu condita anche da questioni meno oggettive delle quote, questioni che rimangono a mio parere nel vago ipossico dell’interpretazione individuale dei protagonisti, quando non intenzionalmente denigratorie. E francamente nemmeno la saggia lettura, di parte delle carte della spedizione del 1954, è riuscita a dipanare alcuni dubbi tecnici e sulla dinamica dei fatti raccontata o ricostruita dai protagonisti, ammesso che quest’esercizio serva a qualcosa.

Avendo vissuto io stesso la salita del K2, senza ossigeno, con un bivacco in vetta senza tenda ne altro, se non la mia giacca in piuma, e l’organizzazione di ben altre quattro spedizioni al K2, so perfettamente quanto difficile sia ricostruire verità che nella mente di ognuno dei protagonisti che agiscono tra campo 4 attuale e la vetta, sembrano inoppugnabili e oggettive, mentre spesso sono frutto di sensazioni, percezioni, condite da adrenalina, ematocrito da squalifica a vita e dalla drammatica mancanza di ossigeno al cervello.

Dunque di oggettivo ci rimangono le quote, e questo, spero con l’utilizzo di un GPS Leica di ultima generazione che sta salendo sul K2 con i nostri amici pakistani che nei prossimi giorni tenteranno la vetta, possa essere un dubbio che scientificamente possiamo toglierci. Speriamo, i dati li conosceremo solo al ritorno degli alpinisti e del GPS. Un piccolo contributo per comprendere meglio questa montagna e la sua storia.

Da qui, al campo base del K2 da dove sto scrivendo queste mie riflessioni, sotto questa formidabile montagna infissa nel blu del cielo e sentendo nell’aria tutto il patos della sua storia umana e alpinistica, non riesco a non scriverlo, a costo di suscitare qualche polemica.

Lacedelli e Compagnoni vetta K2 (photo www.montagnascuoladimanagement.it)

Trovo inaccettabile e indecente quello che leggo sul retro della copertina del libro di Bonatti: “È una storia di confusione, tradimento e spudorata ipocrisia come nessun’altra negli annali dell’alpinismo”, Rob Buchman, “climbing”, 15 giugno 2002. Fu invece una bella e grande pagina di alpinismo, di uomini che hanno messo in gioco tutte loro capacità psichiche e fisiche, tutte le loro conoscenze ed esperienze, di una squadra che ha saputo raggiungere la vetta. Ciò che per tragici motivi, indipendenti dalla loro qualità, agli americani non riuscì negli anni precedenti. Anche Desio e De Gasperi ci misero lo zampino, soffiando il permesso agli americani per il 1954.

Questo fu la spedizione K2 del 1954. Questo il risultato. Le liti, per di più postume tra i giocatori di quella importante partita (le dichiarazioni di Compagnoni al giornalista Giglio e gli esiti positivi per Bonatti del processo intentato per diffamazione nei loro confronti sono di dieci anni dopo) – senza poter usare peraltro la prova della telecamera, si direbbe oggi per il calcio – possono appassionare e far discutere anche aspramente, com’è stato, ma non cancelleranno mai l’unica verità storica alpinistica: il 31 luglio 1954 due alpinisti italiani, supportati da una eccezionale squadra, da un capospedizione che li aveva condotti lì, e da un gruppo di pakistani forti e generosi, raggiungevano con l’uso dell’ossigeno la vetta della seconda montagna della terra: il K2.

Bonatti tornerà a casa ricco di un’enorme esperienza, anche nelle negatività di alcuni episodi, che contribuirà a farlo diventare il più grande alpinista da lì a quando, raggiunta in inverno e solitaria la vetta del Cervino, diventerà il più letto documentarista di ambienti naturali ed estremi per altri dieci anni.

Consentitemelo, il K2 rimane tra gli 8000 la più bella delle montagne anche per la storia della sua “conquista”. Alla faccia di Mr. Buchman e delle sue ricostruzioni, interessanti ma di certo non esaustive e un poco strumentali.

Un po’ di tifo e di amor patrio quando ci vuole, ci vuole.

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