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Invocazioni di preghiera nella notte del K2

K2 di notte
K2 di notte

CAMPO BASE DEL K2, Pakistan — Campo Base K2, notte, urla a piena voce: Nariay takbeer, allah akbar, nara e rasalat, ya rasulalla, nara e hadri, ya ali, islam zinda bad! K2 expedition zindabad! Evk2cnr zindabad! Agostino zindabad!

Sono le 3:50 , la luna piena é ancora alta nel cielo e illumina l’imponente sagoma del K2 di una luce quasi rosata. Ombre nere tra i contrafforti e gli speroni, nere le morene che scivolano fuori dal ghiacciaio rotto da grinze orizzontali, squame di un enorme drago. Sono sette i nostri amici alpinisti pakistani che saliranno fino al campo due a 6800 metri, saranno con loro anche due ragazzi del Rescue Team di Concordia che poi scenderanno immediatamente al Base, dopo aver lasciato il loro carico sul fianco della montagna. C’è anche Daniele (Nardi) con loro che ha riempito lo zaino di materiale fotografico. Lo ammiro e invidio.

Chai, tè e latte, con chapati inzuppato dentro, la distribuzione dei viveri in sacchetti di plastica. Lo zaino e la lampada frontale conferiscono agli uomini movimenti costipati dentro e fuori la tenda mensa, dove per qualche minuto tutti sono lì, seduti. Il cuoco e il suo aiuto, il ragazzo che tiene pulito il campo e Taqi, l’amico organizzatore e capo spedizione, osservano rigorosamente il Ramadan, erano in piedi da un’ora e avevano terminato il pasto notturno.

Gli altri sono esentati dal digiuno sacro, recupereranno poi i giorni perduti. Sono seduto in mezzo a loro, in silenzio, mi osservano, mi porgono una tazza di chai; è una cerimonia allegra e pure carica di tensione. Anche protetto dalla tenda, nel tepore dei fornelli che soffiano il gas prodotto dall’evaporazione del cherosene, ti senti addosso tutto il peso della montagna che ci sta sopra e dentro.

Minuti intensi, forti, fatti di sguardi di complicità, di sorrisi sobri, di odori e colori che hanno il segno di questa terra e gente. Il blu delle giacche, tutte uguali e protettive fa pensare ad una spedizione alpinistica vera e loro si sentono una squadra.

Poi fuori, davanti al campo, a guardare le tende che si lasciano e alle spalle lui: il K2. Siamo sul ghiacciaio che scricchiola e stride, per via del freddo, al contatto con i sassi sotto le scarpe. C’è anche Rozi Ali, il loro padre alpinistico, il maestro che ancora risale di anno in anno il Baltoro per installare e far funzionare il punto di soccorso alpino di Concordia e per pulire i ghiacciai. Ama queste montagne e questi ragazzi , e si vede. Mi vuole bene e mi abbraccia per proteggermi dalla brezza che ora tira da nord.

Siamo in dieci in piedi, spalle al k2 , il gruppo diventa un cerchio e d’improvviso con la forza prorompente di un urlo profetico, carico del potere evocativo delle immense pareti che ci circondano e della potenza della fede, esplode nella notte l’invocazione: “nariay takbeer, allah akbar, nara e rasalat, ya rasulalla, nara e hadri, ya ali, islam zindabad! K2 expeditation zindabad! Evk2cnr zindabad! Agostino zindabad! “Tutti devono dire, Dio é grande, l’invocazione del Profeta, (…) Lunga vita all’Islam! Lunga vita alla spedizione K2! Lunga vita a EVk2Cnr! Lunga vita ad Agostino!”. Un invocazione ripetuta più volte a squarciare il silenzio della valle.

Ho pensato alle decine di persone che nei sacchi a pelo, dentro le tende sparpagliate per più di mezzo chilometro sul ghiacciaio, stanno, spero, dormendo o ascoltando. Qualcuno si sta di sicuro preoccupando. Ho i brividi di freddo e per l’emozione. Ad uno ad uno gli uomini dal viso bruciato dal sole dell’alta quota mi sono venuti incontro, mi hanno abbracciato e baciato, con la stessa intensità con cui io bacio mia figlia, hanno messo la mano alla fronte, poi al cuore. Si sono girati…sono diventate ombre frettolose in cammino verso lo sperone Abruzzi.

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3 Commenti

  1. Bello questo racconto, emozionante, intenso.
    Tuttavia stridono molto queste parole: “osservano rigorosamente il Ramadan” e “Tutti devono dire, Dio é grande”.
    Se l’uomo fosse veramente libero di pensare e di agire con la propria testa, forse farebbe più danni o forse invece capirebbe anzichè obbedire.
    Liberi di credere, di pregare, di avere fede. Io preferisco di gran lunga pensare che siamo alla mercè della Natura e che l’unica volontà che conta è la nostra. La fiducia va riposta in se stessi e negli altri, troppo facile riporla in un Dio buono creato ad hoc e che in realtà spesso non solo non risponde alle preghiere ma fa esattamente il contrario.
    Riceverò bordate di critiche. Bene. Voglio argomentazioni.
    Ditemi perchè diavolo Allah sarebbe così grande, grazie.

    1. sono d’accordo con lei e vorrei aggiungere che la notte tra il 22 e il 23 giugno delĺ anno scorso 11 alpinisti amanti della montagna come me e come lei sig. Da Polenza sono stati uccisi sicuramente al grido di allah akbar.
      capisco l’ enfasi di un racconto ma lasciamo stare allah che non é cosi’ buono come crediamo

  2. Caro Fabio in quei giorni dello scorso anno io e Stefania, la mia compagna eravamo a Skardu, e ce ne siamo andati , con non poco timore , verso il Baltoro. Al campo base del k2 poi, abbiamo incontrato un portatore pakistano, era seduto nella nostra cucina, gli occhi persi nel vuoto! Era uno dei due sopravvissuti alla strage da lei citata al Nanga Parbat, e il suo racconto, di un fatto accaduto vicino, ci ha lasciati rabbiosamente costernati. Conosco la paura per l’integralismo islamico, e la conoscono i miei collaboratori che l’anno prima attraversando il passo Bubusar che porta da Islamabad a Chilas, si sono imbattuti in 16 cadaveri di pakistani massacrati , probabilmente dalla stessa setta talebana della strage del Nanga, che ha fermato il pulmino alla sommità del passo e sparato a tutti. Giampietro e Marcello sono arrivati poco dopo, per primi a contattare la carneficina. Anna Bocci una brava e bella zoologa senese ha lasciato Chilas con la sua auto pochi minuti prima di una sparatoria che ha provocato una decina di vittime. Sono centinaia i mussulmani, ma direi le persone che vengono ammazzate dalla follia estremista islamica e dalle “guerre sotterrane” e sconosciute in questa regione.
    Credo però un dovere di tutti fare uno sforzo di comprensione storica della realtà culturale e sociopolitica rispetto alle religioni monoteiste, e non solo. Riguarda al gruppo di alpinisti pakistani con cui stiamo salendo il K2 , é bene e bello sentirli invocare Hallah e i suoi Profeti per la propria gioia e per un successo alpinistico. Altri, Hallah lo invocano per evocare orrore e produrre terrore. Sbagliano, sbagliano terribilmente e il tempo e la storia lo dimostrerà. Noi dobbiamo stare in guardia, molto in guardia, ma non dobbiamo diventare vittime del terrore, e dobbiamo considerare l’orrore con disprezzo. “Non dobbiamo avere paura”. La paura non aiuta a sconfiggere il terrore, ci vuole coraggio, capacità di dialogo da esercitare qui in queste terre bellissime e drammatiche sia dal punto di vista naturale sia umano. Qui va coltivato il futuro, nel rispetto reciproco della religione e della cultura. Anche l’alpinismo può essere utile.
    Un cordiale saluto

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