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Cave, non solo una questione Apuana. Popi Miotti sulla Valtellina: serve equilibrio e un’idea di futuro

Cave a San Giuseppe Valmalenco (foto Michele Comi)
Cave a San Giuseppe Valmalenco (foto Michele Comi)

SONDRIO – “In provincia di Sondrio l’attività estrattiva che più si avvicina a quella delle Apuane, per portata e di conseguenza anche per scempio, è quella che si pratica in Val Malenco nelle cave di serpentinoscisto e di beola. In alcuni casi l’aggressione si è spinta al punto di far crollare parte della montagna. Essere completamente contrario alle cave è impossibile; inoltre alcune, le più antiche, fanno parte anche della storia e della cultura di un luogo. Quello che occorre è secondo me un maggiore equilibrio”. Chi parla è Giuseppe “Popi”Miotti, nota Guida alpina valtellinese, da tempo impegnato sul suo territorio su queste tematiche.

Nelle ultimi giorni le Alpi Apuane, magnifiche montagne situate all’interno dell’omonimo parco regionale in Toscana, sono state sotto i riflettori (o forse no?) per l’approvazione di un nuovo piano riguardante l’attività estrattiva delle cave. Si è parlato delle possibilità di aprirne altre, di riattivare o ampliare quelle giù esistenti. Il dibattito ha visto schierarsi da un lato i contrari, sostenuti dagli ambientalisti, dall’altro i favorevoli, appoggiati invece dagli imprenditori: per i primi si tratta del dovere di salvaguardare l’ambiente, difendere il territorio anche ai fini di incentivare il turismo; per i secondi di posti di lavoro e di un importante settore dell’economia.

La questione è controversa e annosa, e di sicuro non riguarda solo le Apuane. In Valtellina per esempio alcune Guide alpine da tempo richiamano l’attenzione su situazioni che ritengono estremamente pericolose per l’ambiente e con conseguenze irreparabili. Così Giuseppe Popi Miotti e Michele Comi a cui abbiamo chiesto un parere. Di seguito la prima delle due interviste, quella a Miotti, Guida alpina, alpinista, agronomo, giornalista, autore di libri e siti web sulla montagna. Nei prossimi giorni poi, pubblicheremo anche l’opinione di segno diverso espressaci da un professionista del settore che si occupa di valutazione di risorse e degli impatti ambientali.

Le Alpi Apuane sono sotto i riflettori ultimamente per la questione delle cave…
Il problema Alpi Apuane si trascina da decenni, per lo meno da quando ci si è accorti che le nuove tecnologie di estrazione permettevano un asporto di materiale incomparabilmente superiore a quello che c’era in precedenza. Alla fine si è giunti persino a praticare l’estrazione dall’interno e cioè scavando la montagna dentro in gigantesche caverne ove parte della roccia non è cavata e funge da pilastro di sostegno al soffitto. Questo per cercare di mitigare l’impatto estetico prodotto dalle cave all’aperto, accentuato dal colore bianco dei detriti e dei tagli nella roccia viva che, in forte contrasto con il verde, si vedono a chilometri di distanza. Adesso alcuni dei grandi proprietari vogliono vendere ai Bin Laden. Ecco! Ti rendi conto? Stiamo svendendo uno degli angoli più caratteristici d’Italia e uno dei siti geologici più interessanti al mondo per “quattro” soldi (o cammelli?) che andranno comunque a pochi.

Non è un problema questo solo toscano, anzi…qual è la situazione sulle montagne di casa tua?
In provincia di Sondrio l’attività estrattiva che più si avvicina per portata, e di conseguenza anche per scempio, è quella che si pratica in Val Malenco nelle cave di serpentinoscisto e di beola. In alcuni casi l’aggressione si è spinta al punto di far crollare parte della montagna come, ad esempio, un piccola sommità in zona Franscia che è collassata su se stessa qualche anno fa. Un altro pericolo deriva dalle concessioni date da Regione e Provincia alle cave di inerti fluviali. Un tempo si prelevava il materiale dal letto del fiume con vantaggio anche per il deflusso delle acque in seguito all’abbassamento del letto che si otteneva (quindi anche opera se vogliamo di manutenzione del letto dei fiumi). Inoltre, gli ampi bacini che si formavano avevano un effetto di camera di compensazione in caso di piene. Poi si è scoperto che costava meno cavare il materiale dai terreni alluvionali limitrofi al corso d’acqua. Così con la scusa della “pubblica utilità” si sono rilasciate concessioni a soggetti privati che per la loro attività si sono insediati in aree prative spesso precedentemente usate a scopo agricolo. E’ ancora aperto il caso dei Prati del Ranè in zona Bianzone, terreni ad alta valenza agricola, minacciati da una di queste operazioni. Si è formato un comitato civico che sta combattendo una dura battaglia ed è arrivata fino alla Corte Europea anche perché la Provincia si è mossa chiaramente al di fuori dalle norme e quindi, se vogliamo, dalla legalità. Il pericolo non risiede però solo in quello che ho scritto perché poi bisognerà vigilare su quello che metteranno nello scavo quando dovranno fare il “ripristino”.

Giuseppe Popi Miotti  (Photo Giuseppe Popi Miotti)
Giuseppe Popi Miotti (Photo Giuseppe Popi Miotti)

Hai detto più volte che il turismo e la preservazione del territorio possono portare un benessere più duraturo nel tempo, in che modo?
ll problema è questo: viviamo in un paese senza materie prime che ha basato gran parte del suo sviluppo su di un’industrializzazione pazzesca e scellerata. Fin che le cose sono filate lisce tutto OK, ma poi la crisi ha messo a nudo l’inganno. Ecco allora che d’improvviso si “scoprono” luoghi come l’Ilva, il petrolchimico di Marghera, le discariche di fanghi e materie tossiche che hanno inquinato vaste aree di territorio comprese alcune in città come Brescia o Napoli. Una terra come quella italiana doveva puntare tutto sulla valorizzazione delle sue peculiarità agroalimentari, paesaggistiche, storiche e culturali che invece sono state relegate per importanza se non all’ultimo, al penultimo posto. Il motivo? Ovviamente tali attività per la loro stessa natura non si prestano a creare forti concentrazioni di denaro e all’accentramento del potere attraverso la “concessione” del lavoro alla gente. Chi trae vantaggio da questo status? Ovviamente i potentati capitalistici, grandi famiglie imprenditrici, personaggi con pochi scrupoli e senza etica, tutti soggetti che poi influenzano enormemente la composizione partitica e governativa (di destra e di sinistra) con il risultato di influenzare pesantemente il modo con cui si fanno le leggi che spesso risultano a bassissimo tasso di democraticità. Queste grandi imprese, queste grandi industrie, sono state e ancora sono uno specchietto delle allodole per chi cerca lavoro (e come dar loro torto?) e con ciò rafforzano la loro posizione anche solo minacciando chiusure o riduzione del personale (la Fiat è andata avanti per anni con questa solfa avvalendosi anche della complicità non so fino a che punto ingenua dei sindacati). Favorire in tutti i modi il sorgere di piccole attività legate al turismo, all’agricoltura etc. forse non arricchisce in maniera incommensurabile, ma crea uomini più liberi e nello stesso tempo preserva il territorio senza violentarlo ed inquinarlo. La ricchezza si distribuisce su più soggetti invece che rimanere per la gran parte concentrata nelle mani di pochi e quasi elemosinata sotto forma di lavoro a tutti gli altri. Metto nella lista nera anche la grande distribuzione che non solo ha grosse responsabilità sulla chiusura dei piccoli negozi, ma forse ha anche lo scopo di trattare in maniera pulita un sacco di denaro contante. Anche in questo caso ci dicono che ad ogni Super aperto si creano posti di lavoro; ma quanti se ne perdono per la chiusura obbligata di tante piccole realtà? Ovviamente a chi amministra ciò importa poco anche perché una seria valutazione sarebbe forse un eccessivo esercizio intellettuale. Inoltre purtroppo questa cultura continua ancor oggi a far danni perché non si vede altro modo di “crescita” se non quello che passa attraverso l’industrializzazione e un pesante abuso sul suolo, sul paesaggio e sull’ambiente (cave, capannoni, industrie, discariche etc.).

Sei contrario alle cave tout court o si possono trovare soluzioni intermedie?
Anche questo è un bel problema. Di sicuro la pietra serve in molti aspetti dell’attività edilizia. Il marmo, il serpentino sono pietre da rivestimento e per fare pavimentazioni. Il serpentino nella sua varietà scistosa serve per ottenere le pregiate tegole per i tetti. Quindi dire di essere completamente contrario alle cave è impossibile; inoltre alcune, le più antiche, fanno parte anche della storia e della cultura di un luogo. Quello che occorre è secondo me un maggiore equilibrio nello sfruttamento ed eventualmente la capacità di valorizzare maggiormente gli aspetti legati all’artigianato della pietra. Saper trarre bellezza da essa, magari creare anche delle scuole d’arte per la lavorazione e per la realizzazione di oggetti peculiari, tipici ed esclusivi della zona. In questo caso, però, si incorrerebbe anche qui nella sgradita (per alcuni) possibilità di liberare il lavoro, di creare benessere diffuso e meno concentrato. Di fondo siamo sempre lì, di fronte alla voracità di alcuni individui mai sazi di quel che guadagnano, sempre in corsa verso l’arricchimento sfrenato, incapaci di capire che il soldo non è tutto. Questa può apparire vecchia e lisa retorica, ma in fin dei conti è la realtà dei fatti che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.

Da Guida alpina, trovi che le tue montagne siano “sfruttate” come dovrebbero per le loro potenzialità turistiche?
Ottima domanda a cui rispondo di no. Una delle teorie che ho sviluppato in questi anni dice che in molti luoghi si finge di incentivare il turismo con iniziative spot e di facciata, senza un progetto di lunga portata, senza un’idea di futuro. Perché si fa questo? Perché in realtà ci si muove nella direzione opposta. Se in una località ad altissima potenzialità turistica (la Val Malenco trent’anni fa, ad esempio) fai di tutto per evitare una reale valorizzazione del luogo divorando il paesaggio, favorendo il proliferare a volte assurdo delle seconde case, consentendo che sui sentieri e sulle nevi invernali circolino impunemente trial e motoslitte ecco che in pochi anni vedi declinare l’afflusso di visitatori. Quindi in seguito di questa politica hai poi gioco facile ad incentivare cave, piccole captazioni idroelettriche, edilizia sfrenata. Quest’ultima però non si capisce per chi visto che nessuno più compra in certi luoghi; anche l’acquirente più disperato comincia a diventare esigente in quanto a tranquillità, vivibilità del luogo, occasioni di contatto con la natura, qualità del soggiorno. Purtroppo (o per fortuna) i segni dell’involuzione che ha portato questa politica sono sempre più chiari, vedi ad esempio la chiusura degli impianti sciistici di Caspoggio, località che negli anni 60 era una mecca dello sci d’agonismo internazionale. Qui le seconde case erano arrivate persino quasi nelle piste. E adesso? Gli impianti sono chiusi e difficilmente riapriranno e le seconde case restano a maggior ragione sfitte o invendute ed il luogo sembra una squallida periferia. Grandi cave e truismo non possono convivere, così come urbanizzazione sfrenata e turismo sono incompatibili. E’ stato con una certa soddisfazione che ho appreso che l’UNESCO ha concesso la sua egida ai vigneti delle Langhe e non a quelli valtellinesi che pure erano in gara. Oggi molti si sono lamentati della scelta, ma tra essi ci sono politici ed imprenditori che hanno contribuito non poco a cementificare e “capannonizzare” il fondovalle, creando una suburbia in forte e orrendo contrasto con l’antico paesaggio dei vigneti che senza questa follia edilizia avrebbe sicuramente meritato il riconoscimento. Poi c’è l’incompetenza. Quella ad esempio del CAI che possiede una forte influenza e la usa pochissimo. Abbiamo ad esempio il Parco delle Orobie Valtellinesi, un gioiello naturalistico di grande valore percorso da un’alta via, la GVO, bellissima. Ebbene, sul percorso la maggior parte dei rifugi è incustodita, ma non si è mai pensato di dotarli tutti di un’unico tipo di serratura. Quindi un turista che volesse affrontare la GVO deve prima contattare i singoli tenutari delle chiavi e poi portarsele tutte nello zaino, cosa che sicuramente non rende l’alta via delle Orobie “user friendly” e quindi tiene lontani molti. Sia il Parco che in CAI potrebbero anche pensare di favorire la gestione di qualche struttura, vedi il rifugio Mambretti, nel cuore del massiccio. Un rifugio aperto favorisce l’afflusso turistico in tutti i sensi.

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Un commento

  1. Santo cielo quanta chiarezza! Non una sola parola fuori posto! Io vorrei sentir parlare così anche un sindaco! Evidentemente i montanari hanno un senso molto pratico, lento, umile della vita. Invece l’arroganza e l’ingordigia hanno devastato l’Italia.
    Eppure la vicinissima Svizzera è uno splendido esempio di corretta gestione del territorio.

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