Itinerari

Ladakh: un paradiso per il trekking e l’alpinismo

Diskit Gompa, tempietto
Diskit Gompa, tempietto

Dopo l’ultimo check-point militare, i villaggi spariscono. Il fuoristrada affonda spesso in questa poltiglia biancastra, che si va facendo più frequente da quando abbiamo superato i cinquemila metri. In lontananza alla testata della valle è apparsa la lingua di un ghiacciaio. Il cartello del passo si leva oltre l’ultimo tornante, tra baracche dai tetti di lamiera: in rosso reca la scritta “Khardung La” e sotto “Height 18380 ft, Highest Motorable Road of the World”. Siamo a 5603 metri e una sensazione di euforia incontrollabile accompagna il nostro arrivo sul valico carrozzabile più alto del mondo.

Sui pascoli di erba arida punteggiati di laghi, immobili come idoli di pietra, sono rimasti gli yak. L’oasi di Leh è ormai un fazzoletto verde, sprofondato in una favolosa, assolata lontananza. Quassù ci sono solo le nebbie filanti e le colate detritiche, striate dalle ultime lingue di neve.

L’ultimo Shangri-la, il “paradiso della pace”, il piccolo Tibet, la “terra degli alti valichi”, secondo gli epiteti più frequenti con cui viene chiamato il Ladakh, non è un posto facile, né comodo. Ma basta contemplare questi cieli ingombri di nubi trionfali, i giganti di ghiaccio del Karakorum e dell’Himalaya incisi in un’aria di vetro, i monasteri buddisti che scendono dalle rocce come cascate pietrificate, per capire che qualche piccolo disagio è qui ben ripagato. Dopo un isolamento durato secoli, il turismo ha fatto la sua comparsa fra queste impervie vallate solo nel 1974. In auto ci vogliono giorni per salire dalle pianure soffocanti di Delhi fino ai 3500 metri di Leh, la capitale. L’aereo vola solo al mattino molto presto.

Poi l’aria rarefatta dell’alta quota rende problematici atterraggi e decolli. Alle nove del mattino, svanito all’orizzonte l’ultimo boato, tornano fino all’indomani i rumori che si ripetono dall’inizio dei tempi: il chiocciare delle galline, qualche voce in lontananza, il vento, le trombe tibetane che risuonano e i mantra dei monaci buddisti.

Il Ladakh è una manciata di valli scavate dagli affluenti del fiume Indo, incastonate lassù tra Pakistan e Tibet. Le catene dell’Himalaya, che scintillano per oltre mezz’ora sotto le fusoliere bianco-blu dei 737 della Jet Airways, sono le muraglie naturali che hanno difeso questi deserti d’alta quota dall’impatto della civiltà. Nonostante faccia parte dello stato di Jammu e Kashmir, il più settentrionale della Repubblica indiana, il Ladak costituisce una realtà a sé. La pervasiva presenza dei militari ricorda al viaggiatore una delle guerre più folli di tutti i tempi: il conflitto tra India e Pakistan per il possesso di alcune inutili vallate desertiche invase dai ghiacci. Oggi la situazione è più che tranquilla, ma per raggiungere alcune vallate ci vogliono permessi speciali e in altre l’accesso è del tutto vietato.

Il Ladakh è il paradiso dell’escursionismo e del trekking e ha il vantaggio che, protetto dalla catena himalayana, non risente del passaggio dei monsoni. Il periodo ideale per la visita va da maggio a settembre, con clima secco e sporadiche precipitazioni notturne. Ma è in luglio e in agosto che si hanno i cieli più tersi. In estate non piove quasi mai e il clima è generalmente secco: le temperature oscillano tra i 10 gradi di notte e i 25/27 gradi di giorno.

I trekking più interessanti si svolgono nelle verdi oasi della Valle di Markha o tra i nomadi del Changthang Plateau, ricco di aree umide e di pascoli, lungo le rive dei famosi laghi di Tzo Moriri, Tsokar e Pangong. Oppure nello Sham e nello Zanskar, attraverso alcuni dei più antichi monasteri, alla ricerca dell’ultimo buddismo tibetano. Per gli amanti dell’avventura va segnalato il Chadar trek, risalendo il fiume ghiacciato dello Zanskar, che in inverno rappresenta l’unica via di comunicazioni per gli abitanti del luogo.

Quanto all’alpinismo, in Ladakh vi è l’opportunità di raggiungere cime che superano i 6000 metri in una settimana o poco più, cosa impossibile nelle altre parti del mondo. Scalare lo Stok Kangri, il Kang Yatse, il Mentok Kangri e il Chamsher Kangri non è tecnicamente molto difficoltoso e non richiede delle specifiche abilità. Il river rafting si pratica lungo l’Indo e lo Zanskar, tra i gorghi  navigabili più spettacolari del mondo, in un paradiso geologico che è stato riconosciuto come  “il Grand Canyon dell’Himalaya”.

Infine in Ladakh si possono osservare alcuni dei più rari ed esotici uccelli e mammiferi esistenti sul pianeta. Lo snow leopard, seppure di difficile avvistamento, sta diventando sempre più l’obiettivo delle battute di caccia fotografica degli appassionati provenienti da tutto il mondo.

Per info su trekking in Ladakh www.earthviaggi.it/ladakh

Franco Brevini

[nggallery id=878]

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close