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Come è arrivato il mio Nanga Parbat, intervista a David Göttler

David Göttler (Photo pagina facebook David Göttler)
David Göttler (Photo pagina facebook David Göttler)

ISLAMABAD, Pakistan – È un battesimo di fuoco quello al Nanga Parbat per David Göttler, alla sua prima invernale e alla sua prima volta sulla montagna, su cui finora hanno fallito numerose spedizioni che hanno provato a scalarla nella stagione fredda. La determinazione però non gli manca: “il Nanga Parbat era ed è la montagna che desidero scalare”. Questo ci ha detto dal Campo base dell’ottomila, dove lo abbiamo contattato per farci raccontare di sé, di questa spedizione e del suo alpinismo.


È la tua prima invernale in Himalaya: quali ti sembrano le difficoltà maggiori?
Sì, è la prima volta che vengo qui in inverno. È una cosa nuova e molto eccitante. Al momento le difficoltà maggiori non hanno niente a che fare con l’inverno, quanto con la montagna stessa, perché la distanza tra il campo base e la cima è davvero tanta! E anche in estate sarebbe dura, quindi d’inverno ancora di più. Ma abbiamo fatto buoni progressi e finora siamo stati fortunati con il meteo.

È la tua prima volta al Nanga, com’è la salita in confronto anche ad altri 8000 che hai salito?
Il Nanga Parbat era ed è la montagna che desidero scalare. L’avevo vista un paio di volte mentre andavo al K2, al Broad Peak e al G2. Ed era così immenso e imponente. Intorno sembra tutto così piccolo. E ora sono così felice di avere l’opportunità di scalarlo: è il mio primo tentativo al Nanga Parbat e pure in inverno, significa che non ho niente da perdere e sono già contento così per quello che abbiamo fatto finora. Facendo un confronto con gli altri 8000 per me la differenza maggiore è che siamo qui da soli con 4 amici polacchi e basta. Non ero mai stato così solo su una delle grandi montagne del mondo.

La tua spedizione più difficile e la montagna più bella..
La cosa bella con gli alpinisti che vanno in spedizione è che siamo molto bravi a dimenticare i brutti momenti e le spedizioni orribili, altrimenti non andremmo ancora e ancora. E ad essere sinceri anche nelle spedizioni in cui praticamente non andiamo da nessuna parte, se non poco più sopra del campo base, o quando soffriamo tutto il tempo il maltempo…in fin dei conti sento di aver fatto un progresso, sento che posso o almeno ci provo sempre trarre qualcosa di positivo da quella esperienza. La montagna più bella? Per me sempre quella che ho davanti, come adesso il Nanga Parbat.

Come è nata l’idea di unirti a Simone Moro in questa invernale?
L’ho incontrato un paio di anni fa al campo base dell’Everest, ci eravamo presi un caffè insieme e avevamo parlato di spedizioni. Quella volta gli dissi: se mai cercherai un compagno che venga con te d’inverno a tentare il Nanga Parbat, fammelo sapere. Mi piacerebbe unirmi a te e al tuo team! Dopo di che non ne abbiamo più parlato. Poi alla fine di settembre 2013 mi ha chiamato e mi ha chiesto di andare con lui. Anche se sapevo fin dal primo momento che sarei andato sicuramente, mi sono dato un tono e gli ho detto: ho bisogno di un paio di giorni per rifletterci su, ma…sì dai… e alla fine mi trovo oggi seduto al campo base del Nanga Parbat. E il fatto che siamo entrambi atleti The North Face non è stato certo una brutta cosa!

In passato sei stato diverse volte in spedizione con Ralf Dujmovits, che quest’anno era anche lui al Nanga Parbat. Come mai non siete andati insieme come al solito?
L’idea e l’accordo di andare al Nanga con Simone sono venuti prima di parlarne con Ralf e che Ralf mi dicesse dei suoi piani. E mi piace anche andare in spedizione con persone diverse. Essere qui ora con due italiani è fantastico. Ci stiamo divertendo un sacco! E magari il mio italiano migliorerà e imparerò non solo frasi che non posso usare in pubblico…

Quanto è importante per te e per la tua idea di alpinismo, fare qualcosa che nessuno ha mai fatto prima, come la prima invernale al Nanga Parbat?
Per niente importante. Cerco sempre sfide personali, che siano montagne che mi attirano in qualche modo, o idee, progetti che mi piacciono. Certo è bello se si tratta di qualcosa di mai fatto prima. Ma ultimamente mi pare che si dia importanza solo alle novità. Tipo essere il primo gay a scalare l’Everest… per me questo è il modo sbagliato di fare alpinismo. Dovrebbe essere una sfida intima con se stessi e gli elementi.

Sei stato diverse volte al K2, ti piacerebbe tentarlo in inverno?
Una cosa alla volta…ora vediamo quanto rimaniamo qui e se alla fine sono fatto per queste salite invernali..ma il K2 in generale al momento non “mi chiama”. Ho provato un paio di volte e sono arrivato quattro volte sopra gli 8000 metri…quindi al momento ho altre montagne e progetti in testa, ma mai dire mai!

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