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Fuga in avanti e verso Nord: gli ecosistemi cambiano insieme al clima

Occhi profondi (Antonietta Di Girolamo)
Occhi profondi (Antonietta Di Girolamo)

LECCO — Mentre il riscaldamento globale accelera la fusione dei ghiacciai, anche le specie animali e vegetali montane si trovano a doversi adattare a un clima più caldo. “A livello di emisfero settentrionale, si è visto che l’aumento della temperatura tende a far spostare la distribuzione di molti animali e molte piante verso il Nord. In montagna questo equivale a dire che la distribuzione si dirige verso le alte quote: le specie stanno salendo e quelle di pianura stanno arrivando nelle aree edemontane”, spiega Antonello Provenzale, ricercatore dell’Isac-Cnr di Torino e del Comitato EvK2Cnr, che presiede oggi la sessione sugli Ecosistemi della conferenza scientifica di High Summit 2013.

Un fenomeno che “di per sé potrebbe non essere un problema. I problemi nascono quando si considerano animali e piante già adattati alla alte quote: non possono andare più su, rischiano di scomparire”. Diversi studi sulla biodiversità nelle Alpi hanno infatti mostrato che le specie più a rischio d’estinzione sono proprio quelle endemiche, caratteristiche cioè di una certa area o di un certo ambiente, come la pernice bianca sulle Alpi, o le specie che non sono in grado di muoversi molto perché si sono adattate a un ambiente specifico, come alcuni tipi di insetti.

Ma oltre che sugli spazi di distribuzione, i cambiamenti climatici incidono anche sulla fenologia degli ecosistemi, ossia sul ciclo biologico stagionale: “In montagna, da circa 30 anni, la neve tende a fondersi in primavera più precocemente rispetto al passato. Questo vuol dire che le erbe alpine possono fiorire prima, ma non tutte le specie animali riescono ad anticipare le loro attività per adattarsi a questi cambiamenti”. Il risultato è quello che gli scienziati chiamano “mismatch”, cioè sfasamento, “per esempio tra fioritura delle erbe alpine e attività degli insetti impollinatori. Se non cambiano insieme ci può essere un problema”.

Nel parco del Karakorum (photo Sergio Nessi)
Nel parco del Karakorum (photo Sergio Nessi)

Nell’ottica dei cambiamenti climatici e biodiversità, le aree di montagna sono tra le più vulnerabili, anche se, avverte Provenzale, “bisogna distinguere tra biodiversità intesa solo come numero di specie presenti e qualità degli ecosistemi: con l’arrivo a quote più alte di animali e piante di bassa montagna, la biodiversità potrebbe anche aumentare, ma a lungo andare potrebbe verificarsi la scomparsa di specie endemiche. La diffusione della lepre comune in montagna, per esempio, potrebbe causare l’estinzione della lepre variabile”. In Himalaya, ad esempio, il leopardo maculato si sta spostando a quote superiori, seguendo la foresta a cui è adattato e incrociando gli areali del leopardo delle nevi. “Difficile fare previsioni per il futuro – dice Sandro Lovari, dell’Università di Siena, che con Evk2Cnr ha avviato un progetto di ricerca proprio sul leopardo delle nevi – tutte le specie arrivate ad oggi sono adattabili, non parlerei di estinzione nell’immediato. Però ipotizzabile una diminuzione numerica degli esemplari di leopardo delle nevi,che vede ristretto il suo ambito e che non ha il mantello mimetico e le tecniche di caccia adatte alla foresta”.

“In questo senso, i cambiamenti climatici potrebbero portare a ecosistemi meno diversificati – continua Provenzale -. Con conseguenze anche per l’uomo. La biodiversità produce valore e servizi per le persone. Senza di essa non avremmo l’acqua da bere, non avremmo da mangiare e neanche i materiali che utilizziamo. Gli stessi combustibili fossili erano vita, erano biodiversità una volta”, sintetizza Sergio Savoia, direttore del Programma Alpi Europeo del Wwf, una delle personalità ospiti della tavola rotonda sugli Ecosistemi di High Summit, in programma nel pomeriggio di oggi.

Si continua il discorso poi ancora domani nella sezione dedicata ai Parchi di montagna. Parteciperanno rappresentanti di parchi da tutto il mondo, tra cui Teodoro Adrisano del Parco Nazionale della Majella, Wolfgang Platter del Parco Nazionale dello Stelvio, Ashiq Ahmad Khan del Central Karakorum National Park e Andrew G. Seguya dell’Uganda Wildlife Authority. Fra i temi di discussione, le azioni da intraprendere per mitigare le conseguenze dei cambiamenti climatici nell’ambiente montano. “Anche se sono lontane da situazioni di diretto contatto con l’uomo, le aree protette di montagna sono estremamente fragili – spiega Franco Mari, biologo ricercatore del Comitato EvK2Cnr, chair della sessione -. Risentono molto del riscaldamento globale, perché le specie presenti sono adattate alle basse temperature. High Summit sarà un importante momento di riflessione anche su questo tema. Sicuramente una delle strade è fare rete tra chi gestisce i parchi e chi fa ricerca”.

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