Cronaca

Vajont. 50 anni dopo

Longarone - i giorni dopo il Disastro del Vajont (Photo coyrtesy of Ansa.it)
Longarone – i giorni dopo il Disastro del Vajont (Photo coyrtesy of Ansa.it)

ERTO E CASSO, Pordenone — Vajont 9 ottobre 1963, ore 22.39. 260 milioni di m³ di roccia si staccano dal versante settentrionale del monte Toc franando a oltre cento chilometri orari nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont. L’esondazione è un’apocalisse: onde di 200 metri di altezza rompono la parte sommitale della diga e si riversano nella valle sottostante sui paesi di Longarone, Erto, Casso e altri comuni vicini. Sono 1918 morti. Oggi, nel cinquantenario del disastro del Vajont, le Istituzioni ricordano le vittime e fanno ammenda per quello che fu di certo un irreparabile errore umano.

Sono cominciate questa mattina alle 9.45 le celebrazioni del cinquantenario del disastro del Vajont. Al Palasport di Longarone si sta svolgendo la commemorazione. Alle 11 a Longarone verrà celebrata la messa, come a Erto, presso la diga; alle 12 sul sagrato del campanile di Pirago verrà deposta una corona, e lo stesso si farà altrove, in tutti i luoghi interessati dalla tragedia. Infine, alle ore 21, inizierà la veglia itinerante.

La diga del Vajont vista da Longarone (Photo Commons Wikipedia Emanuele Paolini)
La diga del Vajont vista da Longarone (Photo Commons Wikipedia Emanuele Paolini)

Le prime dichiarazioni del Istituzioni sono arrivate già ieri delle più alte cariche dello Stato in merito al cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont. I presidenti di Camera e Senato hanno parlato di “ferita aperta” e “danno irreparabile”. A Montecitorio si è tenuto un minuto di silenzio, in Senato una commemorazione.

“Il Vajont fu una strage che si poteva e si doveva evitare – ha detto il Presidente del Senato Pietro Grasso, come riportato dal Corriere -. Non è stata evitata perché sulla moralità, sul valore della vita, sulla legalità, è prevalsa la logica senza cuore degli affari sono affari. Noi tutti abbiamo quindi il dovere di dare conto di scelte irresponsabili, e lo Stato ha finalmente chiesto perdono, seppure con mezzo secolo di ritardo. Di fronte alla vita spezzata, al deserto di persone, paesi, territori che quel giorno furono schiacciati dal silenzio quasi surreale della devastazione, lo Stato deve inchinarsi, eppure non basta: lo stato deve anche scusarsi. Ma ancora una volta non è sufficiente: lo stato deve innanzitutto riparare. La popolazione colpita ha subìto non solo un danno irreparabile ma anche una vera e propria ingiustizia fatta di negazioni, opacità, tentennamenti e lentezze nel riconoscere i responsabili di quanto accaduto”.

Grasso è oggi a Longarone, insieme al presidente del Veneto Luca Zaia, per le commemorazioni ufficiali: “sarò lì per portare le scuse dello stato – ha detto ieri -, per riparare”.  Il presidente del Consiglio Enrico Letta verrà sul posto sabato 12 ottobre,

“Il sentimento di dolore per quella tragedia è ancora vivo nella memoria di tutti gli italiani – ha detto il presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini -, compresi molti che quel giorno non erano nati”.

Ricostruzione del disastro del Vajont sull'ultimo numero di Focus Storia in edicola (Photo Focus Storia anteprima del numero www.focus.it)
Ricostruzione del disastro del Vajont sull’ultimo numero di Focus Storia in edicola (Photo Focus Storia anteprima del numero www.focus.it)

Andrea Orlando, ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nel suo intervento in Senato, ha esortato lo Stato a “chiedere scusa ai propri cittadini. Rispetto a 50 anni fa possiamo forse vantare una maggiore fiducia nella tecnica, non fosse altro per le regole di prudenza che accompagnano ora progressi e sperimentazioni. Non dobbiamo mai abbassare la guardia, ma a tenere alta la guardia sono spesso le popolazioni locali, le resistenze dei cittadini e delle comunità, che non si possono sempre liquidare come ‘ambientalismo del no’ oppure come ‘localismo dei no'”.

“Il Vajont è sempre attuale perché richiama l’insieme delle questioni intorno alle grandi opere – ha detto ancora il ministro -, specialmente in contesti naturali di una bellezza che il mondo ci invidia con la questione delle grandi opere si tocca la questione critica del rapporto tra la tecnica e i suoi progressi e le esigenze di vita e di qualità della vita delle popolazioni.”

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