Alpinismo

Da Polenza: quei giorni con Sergio sul G I

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BERGAMO — Il corpo senza vita di Sergio Dalla Longa rimarrà lassù, a poche decine di metri dalla vetta del Dhaulagiri. Troppe le difficoltà logistiche e burocratiche per recuperare e riportare la salma in Italia. E forse, è meglio così. Che Sergio riposi sulle montagne che amava tanto. Di lui e del fratello Marco restano i bei ricordi. Ne abbiamo chiesti alcuni in un’intervista ad Agostino Da Polenza, che si trova alla Piramide dell’Everest per i progetti scientifici del Comitato Ev-K²-Cnr.

Da Polenza, lei conosceva bene entrambi, Sergio e Marco Dalla Longa…
I fratelli Dalla Longa hanno iniziato in Himalaya con me. Marco nel 1992 all’Everest. Sergio, nel 1985 al Gasherbrum I. In quell’occasione con Sergio tracciammo una via nuova ma fu colpito da una paralisi agli arti inferiori e rimase  immobilizzato a 7500 metri d’altezza. Per interi giorni rimase paralizzato in tenda, poi lo portammo giù a campo 1 e si riprese, recuperando progressivamente la capacità motoria. Tutto finì con una gran "ciuca" liberatoria quando tornammo a casa. Da allora credo non fosse più tornato in Himalaya.
 
Che alpinisti erano i Dalla Longa?
Erano ottimi alpinisti e ottimi arrampicatori. Con un buonissimo livello tecnico sia in falesia che in montagna. Hanno scalato molto sulle Alpi,in Patagonia , in nord America raggiungendo risultati importanti. Avevano una grande esperienza di montagna.
 
Quanto ha pesato il fato nelle due tragedie?
Non lo so. E’ una risposta che non voglio dare. In realtà sia Marco che Sergio non hanno mai amato molto l’Himalaya. Preferivano altre mete. Con l’Himalaya non avevano un grande feeling. Non l’hanno frequentato molto. E ne sono rimasti vittime.  
  
Nella tragedia di Sergio, si parla del cedimento di un rampone…
Tutto può essere, anche se lo ritengo  improbabile. Così come è difficile un improvviso sganciamento…
 
Dopo drammi come questi, cosa è giusto fare? Raggiungere la vetta o tornare indietro?
La storia dell’alpinismo è piena di scelte contrastanti, lancinanti. In casi come questi spesso vanno in frantumi grandi amicizie. Nel 1973 accadde sull’Annapurna anche a Gianni Calcagno e Sandro Gogna, amici fraterni. In quell’occasione una valanga aveva ucciso due compagni di spedizione: Miller Rava e Guido Machetto. Gianni salì lo stesso fino alla cima. Gogna tornò indietro sconvolto.E la loro amicizia vacillò. In questi casi la reazione è molto soggettiva. Molti pensano che regalare una cima alla memoria di un amico sia una cosa di grande valore. Ma ripeto: si tratta di valutazioni individuali.
 
Lei cosa avrebbe fatto?
Voglio raccontarvi un aneddoto che riguarda appunto Sergio. Al Gasherbrum I, Dalla Longa restò per tre giorni paralizzato in tenda. Al quarto giorno si aprì uno spiraglio di bel tempo. Io andai in vetta, poi ridiscesi e lo riportammo giù. Ebbene, Sergio comprese quella mia scelta. Ma, da quel bravo alpinista che era, avrebbe capito sia l’una che l’altra scelta. 
 
Un ultimo ricordo dei due fratelli…
Erano due ragazzi per bene. Sembra retorico dirlo, ma erano due persone buone, che hanno amato profondamente la montagna e, paradossalmente, lassù hanno lasciato la loro vita. Il mondo dell’alpinismo conserverà di questi due ragazzi un gran bel ricordo. Questa sera, qui in Himalaya, c’è una luna piena formidabile. E rende ancor più commovente il ricordo di Sergio e Marco…
 
 
Nella foto: Sergio Dalla Longa durante la spedizione al Gasherbrum I nel 1985, per "Quota Ottomila"

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