News

Ghiacciai della Lombardia in sofferenza: negli ultimi 50 anni numero aumentato, ma superficie ridotta del 23%

MILANO — L’Università degli Studi di Milano insieme a Levissima, l’acqua minerale sinonimo di purezza che nasce dai ghiacciai della Valtellina, e al Comitato EvK2CNR, rendono noti i primi dati emersi dal nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, un progetto di ricerca volto a monitorare lo “stato di salute” del cuore freddo delle nostre Alpi, principale indicatore dei cambiamenti climatici in atto. Con il supporto del Comitato Glaciologico Italiano e il patrocinio del World Glacier Monitoring Service.

Il nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani, avviato nel 2012 e che vedrà il compimento nel 2014, aggiorna i dati dei due precedenti catasti realizzati dal Comitato Glaciologico Italiano (CGI), rispettivamente nel 1959-1962 e nel 1982-1985.“Il Gruppo Sanpellegrino, di cui Levissima fa parte, collabora dal 2007 con l’Università degli Studi di Milano per conoscere e tutelare il patrimonio freddo delle nostre montagne. Il nuovo catasto permette di rispondere a domande non solo di carattere scientifico, ma anche pratico e divulgativo, evidenziando quanti sono i ghiacciai presenti oggi in Italia, quanti se ne sono estinti negli ultimi cinquant’anni anni e com’è cambiata la loro superficie. Siamo molto orgogliosi di sostenere la ricerca e di dare un valido contributo alla Comunità Scientifica Internazionale; crediamo, inoltre, che questo progetto possa permettere agli italiani di acquisire maggior consapevolezza sull’evoluzione di un così importante indicatore dal punto di vista climatico, idrico, energetico e turistico”, afferma Daniela Murelli, Direttore Corporate Social Responsibility del Gruppo Sanpellegrino.

Ghiacciaio dei Forni nel 1941
Ghiacciaio dei Forni nel 1941

I primi dati disponibili riguardano la Lombardia, regione dove sono localizzati i più vasti ghiacciai nazionali, così come numerosi corpi glaciali di piccole e medie dimensioni, tra cui il Gruppo Dosdè-Piazzi, in prossimità delle sorgenti Levissima. L’elaborazione delle foto aree a grande scala – fornite dalla Regione Lombardia e da altre amministrazioni provinciali e comunali – messe a confronto con i dati dei catasti precedenti, mostra chiaramente l’evoluzione avvenuta in Lombardia negli ultimi 50 anni: il numero dei ghiacciai è aumentato, da 167 a 209, a causa di numerose frammentazioni, ma la superficie totale si è ridotta del 23%, passando da 115 kmq, nel 1959-1962, agli 89 kmq attuali. Pur tenendo conto delle metodologie diverse di raccolta dei dati fra l’attuale e il precedente catasto del CGI, la tendenza al regresso appare confermata. Nei singoli gruppi montuosi lombardi le variazioni della superficie glaciale sono molto diversificate: si passa, infatti, dal quasi dimezzamento areale dei ghiacciai del gruppo Tambò-Stella, in alta Valle Spluga che, a causa delle loro piccole dimensioni, hanno subito più intensamente gli effetti del riscaldamento climatico, alla perdita di più di un terzo della superficie per i ghiacciai dell’Ortles-Cevedale, in alta Valtellina.

“L’attuale fase di regresso glaciale che interessa la Lombardia, e più in generale tutte le catene montuose, presenta aspetti apparentemente contraddittori; infatti, le aree glaciali diminuiscono progressivamente, mentre il numero dei ghiacciai aumenta. Questo secondo fenomeno è facilmente spiegabile: a causa delle alte temperature e della conseguente fusione del ghiaccio, limitate zone rocciose emergono durante l’estate sulla superficie dei ghiacciai. Le rocce assorbono calore e lo ritrasmettono al ghiaccio circostante accelerandone la fusione. In poche settimane, la piccola roccia affiorante si allarga e può arrivare a spaccare letteralmente in due o più tronconi il ghiacciaio, che perde la propria lingua e si frammenta in settori separati”, spiega il Professor Claudio Smiraglia dell’Università degli Studi di Milano, a capo del progetto di ricerca. La frammentazione di corpi glaciali riguarda un numero elevato di casi; fra i più interessanti va ricordato il ghiacciaio dello Zebrù, nel gruppo dell’Ortles-Cevedale, formato oggi da due colate separate nettamente distinte, Zebrù Ovest e Zebrù Est, che negli anni 50 confluivano in un unico corpo. Lo stesso è avvenuto per il ghiacciaio di Dosegù, oggi separato in due ghiacciai distinti, Dosegù e Pedranzini. Sull’Adamello va evidenziato il caso del ghiacciaio Venerocolo, frammentato in due individui, Venerocolo e Frati, a cui sono stati assegnati nomi diversi poiché ciascun frammento può essere considerato un ghiacciaio attivo a se stante.

Inoltre, molti dei ghiacciai monitorati si stanno riducendo drasticamente e questo li ha portati ad essere classificati come “glacionevati”, ovvero forme di transizione, caratterizzate da ridotta superficie e da ridotto movimento, che spesso possono portare all’estinzione del ghiacciaio stesso. Attualmente, solo 10 ghiacciai lombardi sono invece classificati come “vallivi”, caratterizzati cioè da un vasto bacino collettore e da una lingua che scende fino a quote relativamente basse. Il maggiore di questi è il ghiacciaio dei Forni – localizzato nel Gruppo Ortles-Cevedale, in alta Valtellina, all’interno del settore lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio – che copre poco più di 11 kmq. Vi sono anche casi molto peculiari e insoliti per le Alpi, come quello dell’Adamello, in Val Camonica, il più vasto ghiacciaio delle Alpi Italiane, che copre oltre 16 kmq (dei quali una piccola parte in Trentino), quasi paragonabile – fatte le debite proporzioni – ai grandi ghiacciai della Scandinavia.

A testimonianza dell’importanza che riveste, non solo a livello locale, ma anche internazionale, il progetto del nuovo catasto è stato presentato alla comunità scientifica mondiale lo scorso aprile a Vienna, durante un appuntamento, EGU o Meeting dell’European Geophysical Union, che richiama migliaia di studiosi. Occasione in cui ha ricevuto il patrocinio del World Glacier Monitoring Service, la struttura internazionale con sede a Zurigo che cura la raccolta e la divulgazione dei dati glaciologici a livello mondiale.

“Le prime elaborazioni, che serviranno a creare un database omogeneo a livello nazionale, confermano le intense trasformazioni delle masse glaciali lombarde. La più rappresentativa riguarda la variazione di superficie glaciale che, nell’arco di cinquant’anni, è passata da 115 kmq a circa 89 kmq, con sensibili differenze fra i vari gruppi montuosi; in alcuni settore si registrano infatti riduzioni superiori al 30%, ad esempio -48% nel gruppo Tambò-Stella e -39% nel settore Livigno-Piazzi”, conclude il professor Smiraglia.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close