AlpinismoAlta quota

Una vittoria amara. Intervista a Mario Vielmo dopo la vetta del Kangche

KATHMANDU, Nepal – “Stiamo bene, sia io che Annalisa, che si era fermata ad aspettarmi a campo 3. Ora siamo al campo base. Io ho due falangi della mani con congelamenti, vedremo quanto gravi. Qui l’atmosfera è davvero triste: la spedizione si è chiusa in modo molto amaro”. Queste le parole di Mario Vielmo, che abbiamo raggiunto al telefono satellitare pochi minuti fa. L’alpinista italiano, arrivato in cima al Kangchenjunga senza ossigeno il 20 maggio pomeriggio, si trova al momento al campo base. Ci ha spiegato cosa è successo al suo sherpa, caduto durante la discesa dalla vetta, e ci ha raccontato gli ultimi giorni sull’ottomila himalayano.

Mario Vielmo, Annalisa Fioretti e Silvano Forgiarini sono arrivati al campo base ieri. Il giorno di vetta per Vielmo è stato il 20 maggio: la Fioretti si è fermata a circa 8300 metri prima di decidere di tornare indietro. L’ultimo tratto della salita era iniziato per tutti nella notte tra il 19 e il 20 maggio.

“La salita è stata difficile – ci dice Vielmo al telefono -, più che altro faceva freddo e c’era vento in vetta. Credo che la temperatura fosse vicina ai -30, -35 gradi. Sono arrivato in cima intorno alle 17, 17.30. Prima di me erano arrivati gli sherpa credo della spedizione coreana, saliti con l’ossigeno. Li ho incontrati a 30 metri dalla vetta mentre salivo, quindi non erano molto avanti rispetto a me. Alle 3.30 di notte sono rientrato a campo 4, poi, sempre nella giornata del 20 sono ridisceso al base: mentre scendevo ho provato a cercare il nostro Bibach, ma credo di essermi immaginato di poterlo trovare”.

Nella fase di discesa dalla montagna infatti, si sono verificati alcuni incidenti mortali che hanno coinvolto 5 persone. Sono scivolati e precipitati un alpinista coreano e due sherpa, uno dei quali faceva parte della spedizione degli italiani. Qualche ora dopo altri due scalatori ungheresi di ritorno dalla cima hanno avuto difficoltà, e risultano tutt’ora dispersi.

“Nella discesa due sherpa – continua Vielmo -, di cui uno della nostra spedizione, e un alpinista coreana sono scivolati sul tratto sotto la parte rocciosa della cima. Sono scivolati in momenti diversi a circa 7900 metri. Abbiamo trovato due corpi appena sotto campo 4, che è a 7400 metri. I due ungheresi invece sono andati in cima dopo di me, io non li ho visti, non ho saputo più nulla. Il nostro gruppo aveva due sherpa che abbiamo ingaggiato solo per aiutarci a montare i campi alti. Non erano assolutamente obbligati a salire in cima, erano liberi di scegliere. Bibach ci teneva tantissimo a provare, è salito con l’ossigeno. In vetta era davvero felice. Verso le 11 di sera lui camminava a una cinquantina di metri davanti a me. Ho fatto giusto in tempo a notare che a un certo punto non aveva i ramponi quando ho visto una frontale cadere, rotolare giù nel vuoto a velocità pazzesca. Speravo fosse solo scivolato per un pezzo, ma non è andata così”.

Mario Vielmo (Photo www.a8000metrieoltre.blogspot.it)
Mario Vielmo (Photo www.a8000metrieoltre.blogspot.it)

“Domani faremo una riunione con gli altri sherpa perché la famiglia di Bibach ha chiesto se possibile di recuperare il corpo – ci dice l’italiano -. Ne stiamo parlando, stiamo valutando, ma a onestamente non sappiamo dove sia. Non so se salire a cercarlo possa avere molto senso. È davvero molto brutto: era diventato un amico per noi, un ragazzo molto bravo e molto simpatico”.

Un triste epilogo sicuramente, che poteva essere ancora più drammatico almeno dal punto di vista dei numeri. Vielmo infatti, ci ha raccontato che la valanga staccatasi a campo 2 è stata di dimensioni enormi, e se solo fosse scesa qualche giorno prima avrebbe travolto le tante persone che alloggiavano nella dozzina di tende montate al secondo campo.

“La notte del tentativo di vetta – ci dice infatti l’alpinista -, il 19 maggio, tutte le spedizioni erano a campo 4. A campo 2 quella notte è scesa una valanga enorme causata dal crollo di un seracco. La valanga ha spazzato via le 10, 12 tende che c’erano portandole 200 metri più a valle. Se fossimo stati li sarebbe stata una strage”.

Per Vielmo il Kangchenjunga conta come il nono ottomila in curriculum, avendone già saliti altri 8, tutti senza ossigeno tranne l’Everest. Alla collezione dei 14 gli mancano ora Annapurna, Lhotse, Broad Peak, Gasherbrum I e Nanga Parbat. Non appena deciso insieme agli altri sherpa come comportarsi rispetto a una eventuale ricerca del corpo di Bibach Sherpa, il gruppo tornerà a casa: in base alle condizioni delle mani di Vielmo, decideranno se compiere il trekking o se chiedere l’intervento dell’elicottero.

www.a8000metrieoltre.blogspot.it

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