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“Aria sottile”, ma che puzza. L'Everest nell'editoriale di Agostino Da Polenza

BERGAMO — Credo che ciò che sta accadendo attorno alle grandi montagne di 8000 metri e in particolare all’Everest sia allarmante, forse terribile. Da un punto di vista ambientale lo è certamente. Faccio degli esempi. Il ghiacciaio del Khumbu (quello dell’Everest, versante Sud per intenderci) non riesce più a sopportare mille persone che per 3 mesi, due volte all’anno, ci vivono sopra, ci cucinano, ci sversano olio, cherosene, liquami di ogni genere provenienti dalle cucine, infermerie, tende doccia, e anche se la cacca è (o quasi) obbligatorio farla in contenitori che poi vengono prelevati e svuotati in fosse più a valle, rimane il problema che giornalmente ne viene prodotta una quantità pari a poco meno di una tonnellata.

Un paio di anni fa al “base” ho trovato alcuni pezzi dell’elicottero che precipitò a campo due (6.100 m) durante la spedizione che Monzino organizzò nel 1973. Il ghiacciaio li aveva portati fin lì, mille metri più in basso, scivolando per parecchi chilometri, giorno dopo giorno, sul fondo roccioso della Valle del Silenzio. Tra qualche anno anche le centinaia di chili di escrementi prodotti dall’uomo a campo 2 arriveranno quindi al “base” e l’acqua sarà totalmente imbevibile, ogni dove la si raccoglierà. L’aria nelle belle giornate scaldate dal sole di maggio si riempirà di effluvi.

Altra questione: l’immondizia composta da imballi di ogni genere e tipo, tessuti, plastiche, cordini, scarponi, pezzi di tenda e teli, cibo, viene invece portata via. Tonnellate anche in questo caso. Ma nella valle del Khumbu è impossibile smaltirla. Fino ad oggi l’hanno nascosta in fosse e poi gli hanno dato fuoco. Una follia. Comunque l’unica possibile per non lasciare tutto sul ghiacciaio.

Qualcosa si sta però facendo. Ci sono i volontari del “Sagarmatha Pollution Control Committee” (SPCC), che provvedono a fare 3 cose. Per prima attrezzano l’Ice fall – mille metri di seracchi – e la parete Sud del Lhotse, fanno poi pagare gli alpinisti e i turisti per salire sulle loro scale e corde. Per secondo portano via dal campo base e sotterrano la cacca. Si fanno pagare dagli alpinisti anche per questo servizio, e mi pare il minimo. Dopo essersi pagata la giornata, gli utili vanno per pulire la valle del Khumbu, da Lukla in su. Se non altro i risultati si vedono. La valle e i villaggi sono molto migliorati dal punto di vista dell’immondizia in giro. Ma l’equilibrio e il limite sono già superati e non c’è più posto in questo luogo, proclamato dell’UNESCO patrimonio dell’Umanità e Parco Nazionale, per nascondere cacca e immondizia.

Lo scorso anno con gli amici dell’SPCC abbiamo, noi di EvK2CNR, avviato la differenziazione dei rifiuti raccolti e messo in funzione un inceneritore a Namche Bazar. Ma è piccolo e la mancanza di ossigeno non favorisce certo la combustione. Bisogna costruirne già un altro da 200 chili l’ora. Lo stiamo progettando e lo realizzeremo entro il 2014, sempre con con SPCC e gli amici di EcoHimal, la più prestigiosa NGO austriaca che lavora in Nepal.

Non migliore sorte a mio parere sta toccando alla parte “immateriale” della montagna rappresentata dai valori ai quali generazioni di alpinisti si sono ispirati.

Alpinismo “by fair means”, con mezzi leali, era il motto di George Mallory, campione dell’etica sportiva inglese che nel 1924 sparì oltre gli ottomila metri, nel tentativo di salita dell’Everest. Venne riproposto cinquanta anni dopo con forza da Reinhold Messner .
Mi viene in mente anche la frase di Guido Rey che era scritta sulle vecchie tessere del CAI: “credetti e credo la lotta coll’Alpi utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede”.

Contestualizzate ai tempi nostri e nella situazione del campo base dell’Everest, anno 2013, mi sembrano frasi da marziani, di tempi, uomini mai esistiti. Di “leale” rispetto all’alpinismo da quelle parti è rimasto poco, di nobile come un’arte solo il panorama, di bello come una fede, poi, vorrei sbagliarmi, ma c’è anche meno. Forse c’è l’utilità del lavoro per gli Sherpa e la gente locale, ma a che prezzo?

Anche una volta c’era competizione e non sempre leale. Ma conoscevi il competitor, fosse la natura o te stesso. Ora non conosci più nulla, la natura te la incartano e il “te stesso” viene anestetizzato, ossigenato, diuretizzato, coccolato, sospinto, accompagnato, anche per i bisogni più intimi, tutto viene bruciato in fretta, senza regole e barando in continuazione (solo poche persone all’anno salgono l’Everest senza ossigeno), tutto si conclude poi in un salotto di Manhattan, di Piccadilly Circus, o in zona Brera a Milano con un Martini in mano. Già perché l’alpinismo è diventato anche di classe o “casta” come si diceva una volta dalle parti dell’Everest e di questi tempi dalle parti di Roma.

Se hai i soldi all’Everest ci vai in “business class”. Ci manca la portantina del Marchese del Grillo poi c’è tutto. Al campo base puoi godere di: tenda singola delle dimensione 4×4 con un paio di servitori 24/24h; ovvio, elettricità e WiFi, servizio colazione in tenda, servizio ristorante, medico e farmacia, portatori, sirdar, cuochi d’alta quota, ossigeno.. Come scrive Enrico Martinet, i prezzi vanno da 80.000 a 8.000€.

Qualcuno l’Everest riesce persino ancora a respingerlo. Qualcuno anche a “farlo fuori”. Ma la montagna non è certo “assassina”, come molti scrivono. E’ che qualche volta in condizioni estreme la natura fa, naturalmente, il suo corso.

Non che l’Everest sia facile, nemmeno con queste agevolazioni. Ma non possiamo continuare a parlare di alpinismo. Per rispetto di chi alpinista era ed è troviamo una nuova parola. Forse TEAQ: Turismo Estremo d’Alta Quota; gli acronimi vanno alla grande.
A onor del vero, l’Everest continuano a frequentarlo anche alpinisti veri con ottime intenzioni di vie nuove, concatenamenti, traversate o per salirlo senza ossigeno e Sherpa.

Comunque la situazione è questa. Forse, come ho suggerito già più volte, bisogna che i Nepalesi si fermino a riflettere, insieme a tutti gli altri, grandi alpinisti, associazioni alpinistiche come gli amici del CAI, che potrebbero in occasione del 150° chiedere al mondo rispetto per la montagna più alta e di certo simbolica. Troverebbero insieme alla loro le voci di scienziati e enti di ricerca, di organizzazioni internazionali a cominciare dall’UNESCO che 27 anni fa volle proclamare l’Everest e il suo Parco “Patrimonio dell’Umanità”.

 

 

Links: Il circo dei mille all’assalto L’Everest non ha più poesia, articolo di Enrico Martinet su La Stampa del 11 maggio 2013.

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5 Commenti

  1. Nulla da eccepire, parole chiare e pungenti che fotografano la realtà dei fatti.
    Difficile far prevalere la tutela della natura rispetto ai fiumi di denaro che lo sfruttamento di essa genera. Se non saranno le leggi o la volontà delle spedizioni a regolamentare la situazione, vedo poche possibilità di cambiamento.
    Come dice il buon Mauro Corona, il nichilismo e il denaro portano alla distruzione. Se si amasse la natura e la si mettesse al centro dell’attenzione, non soltanto l’Everest sarebbe un luogo meraviglioso. Invece l’uomo moderno vuole tutto per sè, non pensa a chi verrà dopo di lui.
    Occorre cambiare la cultura del mondo intero, più facile scalare l’Everest…

  2. Vorrei solo rilevare che chi coniò la frase “by fear means” è stato Alfred F. Mummery che non è Geroge Mallory come lascia intendere il testo.
    Sono due persone differenti.

  3. Non preoccupatevi. La cacca è ecologica, è stata inventata dalla Natura in persona e Lei sa come eliminarla riciclandola nel migliore dei modi.

    1. E’ dura che si elimini da sola… su un ghiacciaio. Rimane semplicemente lì congelata nei crepacci e nelle buche. Non siamo sulle Alpi, e stiamo parlando di enormi quantità. purtroppo Da Polenza ha ragione, chi è stato in quei luoghi sa che questo è davvero un problema…

  4. Sorry! E’ vero, Mummery inventò il concetto e la pratica dell”alpinismo “by fai means”. Di certo Mallory ne adottò il motto per il suo alpinismo e per l’Everest .
    Per quanto riguarda la cacca è vero, la natura è potente . E’ però vero che a casa nostra non la “depositiamo” in piazza Duomo , tantomeno sul ghiaccio all’esterno della “Margherita” o al bordo della strada, e cerchiamo di governarne lo smaltimento per questioni igieniche , sanitarie e pure di odore.

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