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Il K2 in tv, tra stereotipi e forzature: editoriale di Agostino Da Polenza

K2 fiction (photo courtesy k2.rai.it)
K2, la fiction (photo courtesy k2.rai.it)

BERGAMO — A volte capita che a Cannes o agli Oscar vengano assegnati dei premi a film realizzati a basso costo. Prodotti con una manciata di soldi e una montagna di genialità e intelligenza. Non sono un cinefilo, le “prime” le guardo spesso in aereo, le linee arabe che vanno in Asia sono aggiornatissime, qualche altro film me lo vedo in tv. Ieri sera avevo delle aspettative sedendomi davanti allo schermo. Sapevo che la produzione aveva dovuto fare economia nel realizzare la fiction sul K2, avevo incontrato autori e cast a Roma, ma ci speravo.

Invece mi sono trovato subito spiazzato: prima in Russia alla fine della guerra, poi in giro per baite, villaggi, campanili, montagne e foreste della Carinzia, credo. Perché il tentativo di dissimulazione dei luoghi non è riuscito bene tra Carinzia e altre località dolomitiche, con il Karakorum che in questa fiction non riesce proprio a uscir fuori. Non parlo dei panorami improbabili ma nemmeno dalle facce dei portatori, nei piani stretti di ripresa seppur ricostruiti. Solo qualche flash rubato al film originario realizzato dalla spedizione del ’54 da Marcello Baldi, come un seme di peperoncino perso in una insipida zuppa, ravviva per qualche secondo il sapore.

Bonatti poi, va al cinema in sottana e scopre il K2. L’immagine dell’alpinista che scrisse “Le mie montagne” e “I giorni grandi”, dell’ ultimo interprete dell’ alpinismo eroico” eppure moderno, che tutti noi avevamo costruito, viene demolita seduta stante. Altro che ripristino della “verità storica sul K2” da parte dei saggi del CAI. Solo Desio sembra Desio, seppur con qualche forzatura caricaturale. Ma questo credo vada ascritto alla bravura di Cederna.

Tutti gli stereotipi dell’alpinismo, dai più idioti ai più noti, trovano posto nel racconto che assomiglia man mano che la storia procede, sempre più a una rappresentazione che fa rimpiangere sommamente il bel film documentario di Baldi.

Ma le fiction a basso costo e livello di mestiere a volte piacciano al pubblico. E’ accaduto spesso in televisione. Speriamo accada anche questa volta. Speriamo che almeno rimanga nel pubblico un che della memoria delle montagne, un qualcosa di quegli uomini che scrissero una pagina vera di storia umana e patria, che riscattarono l’immagine dell’Italia del primo dopoguerra, che hanno lasciato nel cuore di milioni di loro, per decenni, la curiosità di conoscere, di sapere di una storia che meritava di essere raccontata e ricordata. Questa sera, spero vada meglio.

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