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Valanghe ed esperti: perdere il marito per una “fuga” in neve fresca

Valanga Val Salati (Photo courtesy myportal.regione.veneto.it)
Valanga Val Salati (Photo courtesy myportal.regione.veneto.it)

BERGAMO — “Sono una delle purtroppo tante “vedove” della montagna; mio marito, esperto, prudente, istruttore del Cai ecc., non è più tornato da una cosiddetta “sgambata” sulle montagne di casa, insofferente dopo un mese di maltempo e quindi di inattività; una solitaria e veloce fuga dalla quotidianità di casa, appena si è presentata una finestra di tempo buono”. Inizia così la testimonianza di Elisabetta, una nostra lettrice che ha voluto inviarci questo toccante scritto fra i commenti all’editoriale sulle valanghe pubblicato nei giorni scorsi. Per la dignità, la serenità e la lucidità con cui Elisabetta racconta la sua esperienza, abbiamo deciso di pubblicarlo anche come articolo, con un invito alla riflessione.

“La scorsa estate ho avuto un colloquio con chi “l’aveva visto e ricomposto” – scrive Elisabetta -. Avevo alcune domande ancora irrisolte che aspettavano una risposta e siamo venuti sul discorso dei morti sul Monte Bianco di quest’estate. Questa persona, che vive in montagna e che la conosce molto bene, aveva le lacrime agli occhi raccontandomi di tanti giovani che avevano buttato letteralmente via la loro vita e mi ha spiegato anche il perché.
Ora gli alpinisti “giocano” sulla velocità e sulla “leggerezza dell’attrezzatura” per fare ascensioni che un tempo duravano giorni e che ora bruciano in poche ore, contando sul fatto che più si è veloci e leggeri, maggiori sono le possibilità di riuscire nell’intento, specialmente poi se si hanno solo pochi giorni dal lavoro, se è un weekend e se, soprattutto, le previsioni meteo ti danno l’Ok!
Ciò porta alla riduzione del materiale sulle spalle allo stretto necessario, non ci sono margini per gli imprevisti (e se la perturbazione arriva qualche ora prima, e se l’itinerario scelto non è nelle condizioni sperate,…), tutto è ridotto, pesato e il superfluo viene eliminato. Questo signore mi diceva che negli zaini non c’è MAI traccia di cibo di nessun genere, non si mangia in gita, perché non è necessario, tanto “noi siamo forti e veloci e all’imbrunire saremo già al rifugio…”, ma il cibo non è inutile, perché ci fornisce calorie, il carburante per proseguire anche in condizioni avverse, di resistere; se manca, anche il più allenato delle persone perde le forze.Però non manca mai la giacca della marca più in voga del momento… Aggiungeva poi che le vecchie guide avevano sempre nello zaino un pezzo di lardo, del pane vecchio, e, nonostante l’abbigliamento dell’epoca, erano in grado di resistere anche a lungo perché non facevano mancare all’organismo il nutrimento!
Continuando il suo racconto mi diceva che c’è di moda anche un’altra pessima abitudine: anche la montagna ora è globalizzata, frequentata da persone provenienti da ogni dove, per cui, se uno desidera fare un’ascensione, mette un bel cartello all’ufficio guide con scritto “Cerco compagni per…” e affronta così la montagna con persone sconosciute, di cui non si conosce nulla, forse non si parla neanche la stessa lingua.Finchè va bene, tutto è ok, ma, al momento della difficoltà, ognuno pensa a se stesso, alla faccia della solidarietà!Conoscendo la persona, ritengo che ciò sia vero e mi astengo dal fare riferimenti precisi.
Ma in che mondo viviamo se abbiamo ridotto anche la montagna a “un mordi e fuggi”?
E lo stesso vale forse per i morti dello scorso weekend, che avranno accolto con soddisfazione la previsione di tempo buono, dopo una così bella nevicata la “farina” era garantita… ma il resto?
Perché non si tiene mai nella dovuta considerazione il variare della temperatura? Perché non si tiene mai conto del vento? Perché c’è sempre fretta di “vivere”?
Il punto è proprio qui, nella nostra fretta di vivere, dimenticando che “l’Indesiderata delle Genti” (come la chiama Coelho) è sempre dietro l’angolo!
Più volte spiegavo a mio marito che per me il piacere di andare in montagna non era tanto dovuto al dislivello fatto, alla difficoltà, al tempo impiegato, ma alla possibilità di “godere la natura”, al poter parlare con gli amici, mangiando il panino, riempiendoci gli occhi della “bellezza del Creato”!

L’aveva quasi capito…

Penso spesso ai familiari dei tre alpinisti dispersi sulla Barre des Ecrins di cui non si parla più e che forse non verranno ritrovati neanche a primavera. È dura per chi resta… anche sapendoli “lassù sulle montagne” nella gioia del Signore”.

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