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Dalla montagna al mare, Daniele Nardi prende il brevetto di apnea

Daniele Nardi
Daniele Nardi

SEZZE, Latina – Sfide all’ultimo respiro, dall’altissima quota alla profondità del mare. Durante la scorsa estate Daniele Nardi ha lasciato le montagne per dedicarsi all’acqua e prendere il brevetto di apnea tra le Isole Eolie. La pausa marittima è arrivata forzatamente, dal momento che, a seguito di un infortunio accorso nel marzo scorso sul Monte Bianco, l’alpinista di Sezze ha dovuto lasciare stare le scalate per 5 lunghi mesi. Nonostante siano agli antipodi, tra scalata e apnea esistono punti comuni. “E’ sempre una sfida al limite – ci ha raccontato -. Quando vai in altissima quota ti abitui a stare oltre i 7000 metri e quasi non ti rendi conto di dove sei perché ci arrivi nel tempo. Con l’apnea invece, scendi nell’arco di pochissimi minuti, e quindi ti rendi conto di che rischio corri”.

Il brevetto di apnea era per Nardi un desiderio covato da tempo. Dopo che l’infortunio al braccio si è rivelato nella sua gravità, ovvero quando è stato chiaro che per tornare in alta quota sarebbero stati necessari diversi mesi di terapia e riposo, l’alpinista laziale ha pensato che poteva essere quello il momento buono per dedicarsi ad altre occupazioni. Oltre ad aver lavorato con alcune aziende per attività di formazione, ad aprile si è iscritto quindi a un corso di apnea con la campionessa Ilaria Molinari.

“La scorsa estate ho preso il brevetto con -26metri in assetto costante e 2min55sec di statica – ci ha raccontato qualche giorno fa -. L’ho preso grazie ai corsi di Apnea Accademy, per quanto mi riguarda la scuola migliore per questa attività perché si concentra sul rilassamento, ovvero sulle tecniche necessarie a rimanere il più rilassato possibile. Non è una cosa da poco perché quando sei sotto tutto quel blu senti questo istinto primordiale al respiro che devi però saper controllare. E’ una sensazione incredibile”.

Daniele Nardi in acqua

“La maggior parte delle persone pensa che quando vai in profondità hai sempre una spinta positiva che ti riporta verso l’alto – continua Nardi -, come quando ti immergi in acqua che senti la spinta a galleggiare. Invece non è così, in realtà esiste intorno ai 7 o 10 metri un punto che si chiama punto di neutro: fino a questo punto per scendere devi dare di pinne, è il principio di Archimede. Poi una volta qui la spinta idrostatica dell’acqua e il tuo peso si compensano. Superato il punto di neutro incominci a planare verso il blu, sprofondi, hai la tendenza ad accelerare verso il fondo senza renderti conto di quanto stai scendendo. Perché i cadaveri che annegano a un certo punto non li trovano più? Perché dopo che affondano risalgono solo quando la decomposizione del corpo crea delle bolle d’aria all’interno per cui il peso specifico diminuisce. La sfida quindi dov’è? Quando vai giù sai che ti muovi lungo una sottile linea per cui se non hai sufficiente aria non ce la farai a ritornare su, perché nel momento in cui ti giri e ricominci a salire dovrai andare di pinne e quindi consumare energia, ossigeno. La sensazione di guardare su e vedere il blu totale e non riuscire a calcolare quanto manca ti crea agitazione, che ti fa consumare ancora più ossigeno, e più ossigeno consumi meno riesci a rimanere sott’acqua. Devi essere in grado di calcolare esattamente fino a che punto sei in grado di andare sotto”.

Sia che si tocchino i cieli più alti della terra sia che si penetri negli abissi del mare quindi, sempre di ossigeno si parla. Eppure anche in questo tema comune le due discipline si rivelano molto diverse, in particolare nel modo in cui il rischio si percepisce e nel modo in cui le conseguenze della mancanza di ossigeno si manifestano.

Daniele Nardi in acqua

“Quando vai in altissima quota ti abitui a stare oltre i 7000 metri e non ti rendi più conto di dove sei – spiega Nardi -. Mentre quando vai a 7000 o 8000 metri lo fai nel tempo, perché ci vuole tempo per salire e tempo per scendere, con l’apnea tu scendi nell’arco di pochissimi minuti, è immediato. Lo provi più volte e quindi ti rendi conto di correre il rischio di superare quella linea oltre cui poi non riusciresti più a risalire e il cervello si spegnerebbe per mancanza di ossigeno. In alta quota invece quando parte l’edema il tempo è più lungo, diventa una cosa quasi normale perché è più lento, più lungo, si consuma in più giornate”.

“In un modo molto diverso da quello a cui sono abituato andando per monti – conclude Nardi -, mi sono accorto di quanto consuma il cervello quando pensa, perché quando pensi che devi risalire, ti agiti e consumi molto più ossigeno. Ugualmente in India o in altre spedizioni in cui mi è capitato di fare meditazione e entrare in contatto stretto con la cultura locale mi sono ritrovato molto più rilassato. Questo ha fatto sì che in alto andassi meglio, si vede che consumavo meno ossigeno in quota”.

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