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Nepal: futuro di scuole, sanità, turismo

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BERGAMO – Quando si parla di cooperazione tra le montagne del Nepal, è inevitabile pensare a lui. Ang Rita Sherpa, 53 anni, da oltre venti è responsabile di tutti i progetti dell’Himalayan Trust, la celebre fondazione voluta da Sir Edmund Hillary nel 1961 per favorire l’educazione scolastica e la sanità nel distretto di Solu Khumbu, ai piedi dell’Everest. E si occupa anche degli orfani seguiti dalla Fondazione Benoit Chamoux che Agostino Da Polenza e la moglie Fabienne del famoso alpinista d’oltralpe hanno fondato dieci anni fa.

Mr. Ang Rita, come mai si trova in Italia? Sono stato invitato dalla Fondazione Benoit Chamoux in Francia, per le celebrazioni del decimo anniversario di fondazione. Poiché molti progetti che seguiamo sono in collaborazione con il Comitato Ev-K²-CNR, ho avuto l’opportunità di visitare gli uffici di Bergamo, e l’Italia.
 
Come è cresciuta l’attività della Fondazione in questo decennio? L’Himalayan Trust ha una lunga e ineguagliabile esperienza nel campo della formazione e dieci anni fa la Fondazione Benoit Chamoux ha chiesto la sua collaborazione per occuparsi degli orfani di Sherpa e portatori d’alta quota delle spedizioni. Penso che sia stata una grande occasione per aiutare i bambini i cui padri sono morti sulle montagne, e le cui madri sono molto povere e non hanno la possibilità di istruirli. In questi anni la Fondazione ha lavorato migliorando le loro vite, fornendo loro la possibilità di un’ottima educazione scolastica e dando loro un futuro. Non è poco.
 
Come ha iniziato a lavorare per l’Himalayan Trust? Ero un allievo della Khumjung School, la prima scuola costruita di Sir Hillary, costruita intorno al 1960. Ho completato la mia formazione con l’aiuto dell’Himalayan Trust e poi ho avuto l’occasione di continuare a lavorare con loro: sono lì ormai da quasi 22 anni.
 
Quante scuole gestite? Abbiamo costruito 27 scuole nel distretto di Solu Khumbu, ma ci occupiamo di oltre 60 scuole, alcune delle quali costruite dal governo o dalle comunità locali. Il programma e la gestione sono unici, perché tutti gli allievi possano avere una formazione equivalente, anche se frequentano scuole diverse.
 
Vi occupate anche di altri progetti? Abbiamo tre aree di intervento. Naturalmente la formazione è la principale, ma è altrettanto importante il campo sanitario. Gestiamo due ospedali: il Kunde Hospital (gestito direttamente dall’Himalayan Trust) e il Phaplu Hospital (gestito dal governo, anche se ancora gli forniamo molti servizi). Abbiamo anche un programma di riforestazione del Parco Nazionale del Sagarmatha. Prima che venisse creato il parco, la gente e i turisti usavano la foresta come fonte principale di legna da ardere, provocando una grossa perdita di verde nella zona. Negli ultimi 20-25 anni abbiamo creato 3 “nursery” nelle quali produciamo circa 820 mila piccoli alberi all’anno, che poi vengono piantati in diverse zone del parco. Si tratta di un’iniziativa importante perché serve anche a dimostrare alla gente quanto sia difficile far crescere gli alberi e ad educarli ad un maggior rispetto della natura.
 
Quali sono i suoi compiti quotidiani? Abbiamo un piccolo ufficio a Kathmandu, dove ci occupiamo delle scuole e degli ospedali, per esempio organizzando i rifornimenti  e i trasporti di medicine, apparecchiature, alimenti, libri di testo, cancelleria. Molte cose non si trovano nei mercati locali. Ovviamente teniamo anche le relazioni con il governo e i donatori che ci contattano da tutto il mondo. Curiamo poi la supervisione su tutti i progetti. 
 
Quanto sono importanti progetti di cooperazione come questi per lo sviluppo delle aree montane del Nepal? Molto. Ed è molto importante che tutti i progetti svolti nella stessa zona siano svolti in collaborazione e sfruttino le sinergie; nessuno può essere scisso dalla realtà che lo circonda. Contribuiscono a mantenere vive le montagne dando una speranza a chi le abita.
 
Com’è la situazione politica in Nepal, dopo il cambio di governo? È ancora difficile riuscire a vedere nel futuro della nostra politica, ma la cosa importante è la prospettiva di pace all’interno del paese, che ora sembra reale. Il Nepal è sempre stato un paese pacifico ma negli ultimi 10 anni i Maoisti hanno creato una situazione molto difficile. Ora hanno firmato un accordo di pace con il governo ed hanno promesso di abbandonare le armi sotto il controllo delle Nazioni Unite. La gente vede uno spiraglio di luce nel futuro. La pace è l’unica speranza che stiamo davvero cercando.
 
Come viene considerata in Nepal l’attività del Comitato di Ev-K²-CNR? Il Nepal è molto famoso per l’alpinismo, abbiamo la montagna più alta del mondo e la nostra gente sa scalare meglio di ogni altro.  Ma le nostre conoscenze sono ancora limitate. I progetti del Comitato Ev-K²-CNR, che da molti anni lavora in questa zona, stanno diffondendo la cultura della ricerca e stanno fornendo tante informazioni scientifiche alle comunità locali. In questo modo la gente impara a capire e a conoscere in modo profondo la montagna, può proteggere meglio l’ambiente in cui vive. E’ un lavoro prezioso per tutti.
 
Lei è stato anche alpinista? No. Sono stato al campo base dell’Everest ma purtroppo non ho mai scalato, anche se seguo molto l’alpinismo.
 
Quest’autunno ci sono stati molti incidenti sulle montagne nepalesi? Sì. Il più grande è stato sull’Ama Dablam, dove sono morte 6 persone sotto il crollo di un seracco. Nessuno, prima, aveva avuto incidenti mortali su quella montagna. Le valanghe hanno ucciso anche 4 persone sul Pumori, una sull’Annapurna e altre 4 sul Paldor Peak. Credo che l’aumento del pericolo valanghe sia una delle conseguenze del riscaldamento globale.
 
Cosa pensa, invece, di tutti gli incidenti che la primavera scorsa hanno coinvolto le spedizioni commerciali sull’Everest? Molte persone vogliono scalare montagne altissime senza avere sufficiente esperienza. E allo stesso tempo vogliono limitare il numero di guide Sherpa per risparmiare. Così accadono gli incidenti.
 
Che impatto ha il turismo sulle montagne del Nepal? Il turismo è un grande beneficio per la nostra gente, fondamentale per la costruzione dell’economia delle comunità rurali. Ma, ovviamente, ha effetti anche sul nostro ambiente e sulla nostra cultura. Il maggior problema ambientale sono i rifiuti, che la gente gestisce male. Un altro grave problema è la perdita dell’identità culturale tradizionale: i bambini sono spesso attratti dagli stranieri e dalle loro usanze. Sta a noi aiutarli a capire il valore della loro tradizione e cultura.
 
Che cosa fate per evitare questi problemi? Negli ultimi 7 anni, per esempio, abbiamo lavorato con il Sagarmatha Pollution Control, una piccola organizzazione locale che si prende cura dei rifiuti abbandonati nel parco e ai campi base. Inoltre, la consapevolezza della tutela ambientale si sta sviluppando fra la nuove generazioni anche grazie alla loro formazione.
 
E’ la sua prima visita in Italia. Che programmi ha per i prossimi giorni? Non sono ancora sicuro del programma, ma probabilmente visiterò Milano, girerò Bergamo e poi andrò a Chamonix, di cui ho sentito molto parlare. Provengo dalle montagne e le amo molto, non vedo l’ora di vedere le Alpi.
 
Sara Sottocornola

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