Da Polenza: basta burocrazia, la montagna deve fare "sistema"
BERGAMO — La montagna non è solo imprese alpinistiche ma un sistema molto più complesso di relazioni ambientali, sociali, economiche e persino politiche. Ne abbiamo parlato con Agostino Da Polenza, presidente del Comitato EvK2Cnr e autentico manager di montagna.
Da Polenza, nei giorni scorsi a Roccaraso Alemanno è tornato a parlare dell’esigenza di una nuova legge sulla montagna. Cosa ne pensa?
La legge sulla montagna è una questione importante. Anche se oggi siamo ancora legati alla legge del 94 che non era così male ma è restata in gran parte inapplicata e ora è superata dai fatti. Andrebbe ritirata fuori, sfoltita e portata in parlamento in maniera rapida. Un testo che rielabori una serie di norme condivise che tenga conto anche del contesto normativo europeo. Una legge d’indirizzo generale che vada a individuare alcune necessità. Sono convinto che se andassimo a mediare una leva fiscale più favorevole sulle montagne con il ministro Tremonti su alcune cose potrebbe persino darci retta, e comunque il federalismo fiscale potrà dare vantaggi alle “montagne” più virtuose…
Quindi non un provvedimento “d’emergenza” una-tantum ma un testo articolato e duraturo, mi pare di capire…
È indispensabile ragionare in termini di grandi sistemi territoriali e della necessità di far economie di lunga durata, rispetto alla rincorsa continua all’emergenza o ai disastri. Credo che un provvedimento legislativo di governance di questo tipo ci potrebbe stare.
Alemanno poneva anche la questione delle regioni a statuto speciale…
Mi sembra che la logica del suo discorso sottintenda il fatto che simili condizioni non abbiano più ragion d’essere in un paese come il nostro e in un assetto europeo che considera complessivamente il territorio delle Alpi e degli Appennini. Non ha alcun senso mantenere le regioni a statuto speciali, che stanno in piedi solo per ragioni di corporativismo economico e di interesse a mantenere dei vantaggi oggi difficilmente spiegabili e comprensibili dalla gente. Soprattutto in un periodo critico dal punto di vista economico.
Ha senso parlare di statuto speciale in un sistema che va verso il federalismo?
In questo momento il federalismo fiscale si va imponendo nel paese. Voler mantenere le regioni a statuto speciale al di sopra di quello che viene normato dal federalismo, con vantaggi ulteriori ereditati dal passato, credo sia poco accettabile dal resto del paese. Spiegatemi che differenza c’è fra le montagne dell’Alto Adige e quelle della Lombardia o del Piemonte o dell’Emilia.
La leva fiscale può bastare per rilanciare l’economia in montagna?
La leva fiscale è importantissima. Ma oltre a questo vanno introdotte facilitazioni all’accesso dei sistemi burocratici e amministrativi. Il sistema burocratico di questo paese, nonostante gli sforzi fatti, è pesantissimo per i cittadini e le aziende. La montagna, non dimentichiamo, significa anche scuole e trasporti. Trasporti in salita e in discesa. Le scuole sono distanti. Ci sono costi e disagi. Ma vale anche per l’approvvigionamento dei carburanti e degli alimentari. Ci sono una serie di fattori di svantaggio di tipo economico a vivere in montagna, compensati ampiamente dal vantaggio di vivere in un ambiente di grande salubrità fisica e mentale. Però gli svantaggi vanno quantificati e oltre una certa sopportabilità dello svantaggio economico, le imprese sono costrette a mollare.
Ma si può davvero fare impresa in montagna?
Fare impresa è possibile ed è dimostrato da paesi come la Svizzera, l’Austria, ma anche dalle nostre regioni a statuto speciale o le aree d’eccellenza, dove lo svantaggio è colmato da facilitazioni di tipo economico oppure burocratico e amministrativo e da quegli aspetti che, come dicevo, alla fine fanno qualità della vita. Oggi la qualità della vita non possono pretenderla soltanto i milanesi o i romani. Ma anche quelli de L’Aquila che devono vedere ricostruita la loro città, quelli di Roccaraso, Ovindoli o della Valbrembana e dell’Ossola.
A proposito di burocrazia: cosa pensa delle Comunità montane?
Vede, io sono uno di quelli che, fin dal lontano 2002 quando si celebrò l’Anno internazionale delle montagne, sostiene che le comunità montane hanno esaurito il loro ruolo. Non hanno ragione d’essere. Ben venga lo sfoltimento e lo snellimento del sistema di gestione amministrativa del nostro paese fatto finora. Però va fatto ancora uno sforzo. Perché non possono esistere sistemi amministrativi che traggono legittimazione da meccanismi obsoleti, che significa spesso dare una poltrona ai “trombati”. Le comunità montane hanno ragione di esistere se si trasformano in un consorzio di amministrazioni comunali finalizzate a scopi estremamente precisi e a una gestione estremamente efficace, per il raggiungimento di scopi determinati in un ambito di economicità sostenibile e competitiva. Non è credibile che mi dicano che una comunità montana con 67 consiglieri comunali si è trasformata in un efficiente strumento d’amministrazione locale con lo stesso numero di consiglieri.
E sul risarcimento delle risorse che la montagna fornisce alla pianura, in termini di energia e acqua, come la pensa?
È un vecchio e sempre valido discorso. Anche se a dire il vero qualcuno potrebbe volere un risarcimento per il contrario (ride-ndr). Lo propose per primo a livello europeo lo svizzero Bruno Messerli, un grande della montagna. Un uomo con una visione “universale” della gestione politica e amministrativa delle montagne. Il tema era quello del valore reale e concreto che la montagna possiede, come primo baluardo di tutela di sistemi ambientali che hanno nell’acqua il loro fondamento. I ghiacciai intorno agli anni 2000 vennero definiti come le grandi cattedrali delle risorse d’acqua del pianeta. È un’assoluta verità. Di recente ho incontrato il presidente pakistano Zardari. Dopo pochi preamboli diplomatici mi ha fatto una domanda secca: ‘Da Polenza, mi dice quanta acqua abbiamo ancora nei nostri ghiacciai? Perché il nostro incubo e la nostra preoccupazione, anche geopolitica, è quella delle risorse idriche di questo paese’. Loro hanno un fiume, l’Indo, che dipende più di ogni altro dai ghiacciai.
E in Italia come la vede?
I nostri fiumi dipendono di più dai bacini imbriferi. La cura di questi bacini è la cura della nostra riserva idrica di buona qualità, sia dal punto di vista energetico che di sostentamento. Comuni e regioni devono occuparsene. Da questo dipende l’agricoltura, la sicurezza alimentare come idrogeologica. Guardiamo cos’è successo la scorsa settimana nel veneto e meditiamo. Dove siamo riusciti a regimentare correttamente i fiumi, le forze immense sprigionate dalla natura sono state perlomeno tamponate. Certo non riusciremo mai a imbrigliarle, e questo è un qualcosa che ci fa sentire “fragilmente” uomini. Ed è in ogni caso il bene della nostra natura.
E anche in questo l’ambiente di montagna è fondamentale…
Le montagne sono un ambiente fondamentale per mille ragioni. Quando nel 2002 organizzai l’Anno internazionale delle montagne, una delle cose che mi balzò subito all’occhio fu la scarsa percezione delle montagne e della loro specificità, soprattutto nel nostro paese. Era però già iniziato un grande processo culturale. I montanari dell’Alto Adige, così come quelli di Cuneo cominciavano ad essere orgogliosi della loro “montanità”. Al sud, la “montanità” era invece ancora intesa come un minus. In parte lo è ancora oggi. Il montanaro era inteso come ignorante, cafone povero e rozzo. Ora, nonostante ci siano ancora aree in simili condizioni, il divario si è decisamente colmato. Si è sempre più orgogliosi di far parte del mondo delle montagne.
E com’è percepita la montagna oggi?
Prendiamo il turismo. La gente sceglie il mare per il divertimento, ma poi talvolta si accorge che è stressante. E così sempre più scelgono di andare anche in montagna. Persino gli ambienti radical chic se ne sono resi conto. Si va al mare ma si va anche in montagna perché percepita come il momento salubre delle proprie vacanze, come distensione e relax vero.
Pare un’inversione di tendenza: dalla montagna come problema alla montagna come risorsa…
Secondo me sì. Lo dimostrano i dati. Il turismo montano è quello che ha subito di meno la crisi. Il ministro Brambilla da un certo punto di vista ha ragione. La montagna ha una grande opportunità dal punto di vista turistico che può sfruttare però solo facendo sistema. Prenda ad esempio Belluno. È una bellissima città. Ma potrebbe avere turisti in più facendo sistema tra i suoi bei monumenti e la sua arte con il museo di Messner a Monte Rite, con le splendide Dolomiti e con Cortina. Mettendo a sistema le molteplici attrazioni e opportunità del territorio. L’Alto Adige, l’Austria e la Svizzera da questo punto di vista insegnano: fare sistema e mettere in gioco tutte le risorse disponibili giova a tutti.