Sicurezza in montagna

Gli scout: per la sicurezza tutto il possibile

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BERGAMO — Quale formazione ricevono gli scout? Sono preparati ad andare in montagna? Gli ultimi drammatici fatti di cronaca hanno fatto affiorare interrogativi importanti su queste questioni, di cui poco si sa e sulle quali invece pensiamo bisongerebbe riflettere. Per ragionare sull’argomento abbiamo intervistato una delle massime autorità del mondo scout, Barbara Calvi, Presidente dal 2009 della Federazione Italiana dello Scoutismo, già Commissaria Internazionale Fis e Cngei. Ecco cosa ci ha raccontato.

A fronte dei numerosi casi di incidenti capitati agli scout in montagna, La Federazione italiana di scoutismo sente il problema?
Innanzitutto voglio dire che negli ultimi giorni sono venuti alla ribalta casi di tragedie ma ci sono tante altre cose che vengono fatte per bene, dove i capi sono stra-formati, fanno le attività in estrema sicurezza, e questi passano sempre sotto silenzio. Detto questo certo che sentiamo il problema, perchè – accidenti – ciascuno di questi ragazzi è un pezzo di noi. Che siano scout di un’associazione o di un’altra, qualsiasi ragazzo che va in montagna e si fa male o addirittura perde la vita, certo che lo sentiamo il problema.

Come ve ne state occupando?
La prima cosa che abbiamo fatto è stato creare un protocollo con il Cai siglato dalle due associazioni scout italiane riconosciute a livello mondiale che sono l’Agensci e la Cngei, riunite nella Federazione italiana dello scautismo. E’ un protocollo su cui abbiamo lavorato tantissimo, saranno 7 o 8 anni che ci lavoriamo su per portarlo a termine e finalmente è stato firmato quest’anno. In questo progetto ognuno di noi riconosce all’altro determinate competenze in virtù della propria esperienza. Quindi noi riconosciamo al Cai la capacità e la competenza di aiutarci a gestire meglio l’attività in montagna, non solo riguardo alla sicurezza ma anche a tutto quello che è il bello di andare in montagna.

E quindi concretamente cosa fanno gli istruttori Cai con i ragazzi?
Questo è ancora da stabilire, c’è un gruppo di lavoro che sta progettando una serie di cose che si potranno fare insieme. Ma il calendario delle attività deve essere ancora definito.

Vuol dire quindi che da adesso gli istruttori Cai seguono i ragazzi in montagna?
Questo succedeva anche prima, potrei raccontare tanti casi in cui siamo andati in montagna insieme a persone del Cai. Quando io stessa avevo 14 anni e andavo a fare il campo estivo, per esempio sull’Adamello, e andavamo a fare una gita su un percorso Cai, c’era una persona del Cai che veniva con noi.

Ma non c’è una regola per cui si va in montagna solo con un istruttore Cai?
No non c’è una regola, ma perchè, anche se io conosco molto bene la montagna, non posso dire a una persona di stare a casa e di non andare su un sentiero. Noi da parte nostra incoraggiamo i ragazzi, anche duranti i corsi di formazione, a servirsi delle competenze di chi le ha, in questo caso del Cai, o di chi si occupa di speleologia o di arrampicata sportiva, ma anche di vela, attività nella natura, canoa, ecc. Quindi ad ampio raggio noi diciamo di servirsi di persone che possono aiutarli a fare le cose che si sono prefissati di fare.

Perchè non è previsto che i capi frequentino sistematicamente, per statuto, dei corsi che insegnino ad andare in montagna?
Perchè noi non andiamo solo in montagna. Poi in realtà molti ragazzi di fasce di età più alte, quelle tra i 16, 19 e 21 anni (divise diversamente a seconda dell’associazione), partecipano ai corsi del Cai, specialmente i capi.

Ma per loro iniziativa, non perchè devono?
Noi ai ragazzi che vogliono andare in montagna, diciamo che devono fare dei corsi, ma non li possiamo obbligare. Diamo loro la possibilità di farli, apriamo loro delle porte perchè li facciano, però non li obblighiamo. Così come del resto chiunque vada in montagna, non c’è un cancelletto all’ingresso che dice “no, tu non puoi salire perchè non hai fatto il corso”. E lo stesso vale poi per gli oratori, o qualche gruppo di amici della montagna, che ci vanno sulla base delle difficoltà che sentono adeguate. Io posso dire che ai capi delle nostre associazioni facciamo delle serie domande, abbiamo aperto le porte perchè abbiano dei rapporti privilegiati col Cai e prevederemo delle occasioni a cui potranno partecipare con momenti di approfondimento e formazione grazie all’accordo di protocollo col Cai. Ma non è solo quello, noi dobbiamo fare in modo che la gente sia consapevole della montagna prima di tutto, senza volere però che tutti vadano in montagna, perchè non tutti sono fatti per la montagna.

Ma quindi se devono essere consapevoli perchè devono portare i pantaloni corti anche d’inverno?
No ma non è sempre così. Ci sono due associazioni, una tende a portare il pantalone corto anche d’inverno, l’altra no. Ma a parte tutto, i pantaloncini corti fanno parte di una tradizione che esiste ancora. L’abbigliamento non adeguato, troppo leggero comunque, non è un problema solo della montagna, ma in generale dei giovani. Si fa molta fatica ad arrivare a loro, soprattutto gli adolescenti, che tendono sempre a fare di testa loro, e a fare delle cose che magari sono più grandi delle loro capacità. Per questo noi con loro lavoriamo tanto, perchè arrivino preparati a fare bene le cose. Ma loro tendono sempre ad essere meno vestiti, con le scarpe non adeguate, con gente che va in giro in persino in infradito. Ma lo farebbero con chiunque, anche con i loro genitori. Noi con loro lavoriamo perchè capiscono che non si può fare. Per esempio la questione dell’equipaggiamento fa parte delle nostra formazione capi. Rispetto ai pantaloni corti bisogna anche dire che se stai facendo attività in un prato all’aperto, ti bagni i pantaloni corti, ti cambi e metti quelli lunghi non è sempre sbagliato. A me onestamente più che il pantalone corto, preoccupa che non abbiano le scarpe da montagna o la giacca impermeabile o l’attrezzatura giusta.

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