
Fu un vero exploit quello realizzato sul finire del 1973 dagli specialisti del Monte Bianco Walter Cecchinel e Claude Jager. Una via di roccia e ghiaccio ripido impressionante che segna la svolta dell’alpinismo su questo terreno grazie ad una tecnica di progressione innovativa: la piolet traction.
Cecchinel, francese di origine italiana, aveva già tentato la salita ai Drus nella primavera del 1971 con Georges Nominé ma il brutto tempo li aveva costretti alla ritirata. Era solo questione di tempo e di affinare quella tecnica di salita su ghiaccio che Cecchinel aveva di recente importato dalla Scozia, dandole un nome più accattivante dell’originale “trazione della piccozza”. La piolet traction diventa subito parte dei suoi insegnamenti agli allievi dell’ENSA (Ecole Nationale de Ski et d’Alpinisme) di Chamonix dove è istruttore.
Con una “piccozza con manico di legno speciale per trazione” in una mano, un martello da ghiaccio nell’altra ed i ramponi “a punte avanti” la salita può avvenire sulla massima pendenza con sicurezza e rapidità. Proprio i ramponi rigidi con punte frontali, inventati da Tom Frost e Yvon Chouinard nel 1966, avevano già segnato una grande svolta permettendo di evitare lunghe diagonali e il dispendioso scavo di gradini nel ghiaccio a colpi di piccozza. Innovazioni che permettono l’apertura della “Cecchinel-Nominé” sul vertiginoso Grand Pilier d’Angle il 16 e 17 settembre 1971 e della “Cecchinel-Jager” al Couloir Lagarde Ségogne nei giorni 27, 28 e 29 dicembre 1972.
L’anno successivo è il momento di chiudere la trilogia con una salita di gran classe.
Quattro giorni in parete
E’ il 28 dicembre 1973 quando Cecchinel e il francese Claude Jager camminano nella neve alta appesantiti da attrezzatura e materiale da bivacco per più giorni, nonostante le previsioni meteo preannuncino solo una piccola finestra di bel tempo. Sono da soli e pochi amici sanno che “siamo partiti per un’avventura di cinque o sei giorni che terminerà vicino alla Madonnina dei Drus, che cingeremo con una fettuccia rossa a testimonianza del nostro passaggio”, scrive Jager.
Salgono il lungo canale nevoso di attacco e dopo qualche lunghezza si preparano al bivacco con tanto di caffè fumante e “comode” amache appese. Altri due giorni a lottare tra ghiaccio fino a 80° di pendenza, passi su roccia di V grado e tratti di artificiale di A2 li portano a superare il punto massimo raggiunto nel 1971. E’ il 30 dicembre, sanno di essere a buon punto e l’avvicinarsi di un elicottero con dei loro amici gli dà la carica ma il cielo grigio e qualche fiocco di neve aumentano in loro le incertezze. Il mattino seguente il couloir finale regala loro un’arrampicata entusiasmante che li deposita alla Breche des Drus dove, per festeggiare la salita e la fine dell’anno, l’elicottero degli amici gli consegna caffè al Kirsch bollente, frutta secca e gas. La discesa è eterna e li porta a raggiungere il Rifugio Charpoua il 2 gennaio. Qui la tensione si scioglie e l’animo si riempie di soddisfazione e fierezza per la vittoria conquistata “con uno stile tradizionale, secondo l’etica di un alpinismo classico che forse ha bisogno di un nuovo spirito per ritrovare il giusto valore”, dice ancora Jager.
Alpinismo e innovazione tecnica
In un racconto per “La rivista della Montagna” Jager elenca tutto il materiale a loro disposizione decisamente un passo avanti rispetto alle allora consuetudini nelle Alpi:
“Tre paia di ramponi a punte avanti (due per il capocordata);
una piccozza metallica;
una piccozza con manico di legno speciale per trazione;
due martelli da ghiaccio;
dodici chiodi da ghiaccio conici;
quaranta chiodi diversi (titanio e cromo-molibdeno);
dieci chiodi a lama di rasoio (non utilizzati);
otto cunei di alluminio (quattro utilizzati);
blocchetti e nut (non utilizzati);
quattro staffe;
due paia di Jumar;
una corda da 80 metri da 9 mm;
una corda da 40 metri da 9 mm;
due amache”
Oltre ai ramponi rigidi punte avanti e alle piccozze dedicate alla piolet traction emergono chiodi da ghiaccio conici, nut di origine americana e corde davvero sottili. Dal racconto si nota anche la progressione fatta recuperando a parte il saccone del materiale in stile Big Wall, che permette di risparmiare energie ed essere più efficaci.
Quanti passi avanti da quel 15 luglio 1865 quando vennero salite, casualmente lo stesso giorno, il Cervino e lo Sperone della Brenva aprendo le porte a salite di ghiaccio e misto sempre più impegnative che mirano oggi ad unire difficoltà, alta quota e velocità.