Prigioniero del Nanga Parbat
A poche settimane dalla sua scomparsa, torniamo a parlare di Tomaz Humar e dell’incredibile soccorso che lo vide protagonista nel 2005 sul Nanga Parbat. Tentando l’apertura in solitaria di una nuova via al centro della parete Rupal, l’alpinista sloveno rimase bloccato dal pericolo valanghe. Rannicchiato in una crepa ghiacciata a quasi 6000 metri di quota, aspettò per sei giorni l’arrivo dei soccorritori. Cos’ha provato Humar in quei lunghissimi giorni? Cosa ha pensato nei momenti di lucidità, ma soprattutto nei momenti in cui il gelo gli ottenebrava la mente? "Tomaz Humar. Prigioniero del ghiaccio" é il racconto di questa storia.
É un ricordo in prima persona quello che trasmette Tomaz Humar attraverso questo libro. Un’esperienza che non potremo più sentire raccontare dalla sua voce dopo il tragico avvenimento di cui è stato protagonista qualche settimana fa. Lo scorso 14 novembre il corpo senza vita dell’alpinista sloveno è stato ritrovato sulla parete nord del Langtang Lirung, in Nepal. Un incidente che ha addolorato tutto il mondo alpinistico, e che dona alla lettura di queste pagine un retrogusto amaro.
Nell’agosto del 2005 Tomaz Humar si recò in Pakistan per una nuova sfida personale con il versante sud-sud-est dell’imponente Nanga Parbat, uno degli ottomila più difficili e mortali. L’alpinista sloveno voleva tentare l’apertura in solitaria di una nuova via al centro della parete Rupal, la più alta del mondo. Durante l’impresa, a quasi 6000 metri di quota rimase bloccato. A causa delle temperature stagionali più alte del dovuto, la neve si stava sciogliendo più rapidamente del previsto e qualsiasi movimento dell’uomo avrebbe potuto scatenare una valanga. Per non aggravare la situazione e tentare di sopravvivere, Humar cercò rifugio in una crepa ghiacciata, in attesa. Il cibo scarseggiava, le sue gambe, già malridotte, si stavano pian piano congelando.
Passarono sei giorni prima che si presentassero le condizioni adatte al recupero. Due elicotteri si alzarono in volo nel disperato tentativo di strapparlo alla furia degli elementi e ad una morte sempre più incombente. L’operazione di soccorso fu molto rischiosa, con l’uso di manovre azzardate, ma riuscì nell’intento. Lo sloveno si legò attorno alla vita la corda gettatagli da uno dei velivoli e si lasciò portare fino al campo allestito per l’occasione. Erano le 6 e 30 del mattino del 10 agosto quando Humar, stremato e piangente, atterrò. Si lasciò aiutare a rimettersi in piedi da tutti coloro che lo circondavano e li abbracciò uno per uno per avergli salvato la vita. Humar ricorderà questo giorno come quello di una nuova nascita.
L’avvenimento ha avuto un forte impatto mediatico dovuto sia alla notorietà del protagonista che al suo blog, aggiornato di ora in ora dagli altri componenti della spedizione durante la spasmodica attesa di recuperare il loro compagno. Il volume è una ricostruzione dal punto di vista di Tomaz Humar di ciò che gli è successo, ciò che ha vissuto, ciò che ha provato. Il materiale è stato raccolto e rielaborato da Bernadette McDonald, giornalista canadese, che proprio grazie a quest’opera è stata insignita per la seconda volta del Premio di letteratura di montagna Kekoo Naoroji Award indetto dall’Himamayan Club. La traduzione è di Antonella Cicogna, giornalista milanese, autrice di numerosi reportage di viaggio e collaboratrice con diverse testate nazionali e di settore.
Il libro era già in stampa quando è stata data la notizia della morte di Humar e, pertanto, non può tenere conto del tragico avvenimento.
Pamela Calufetti
Photo courtesy Humar.com
Titolo: Tomaz Humar. Prigioniero del ghiaccio Autore: Bernadette McDonald e traduzione di Antonella Cicogna Casa editrice: Versante Sud Pagine: 308 + VII tavole Prezzo: 19,00 euro |