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Gran Zebrù, la cima del re

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"Il Gran Zebrù, la cima del re, con i suoi 3859 metri è considerata da molti la montagna più bella nel gruppo dell’Ortles in alta Valtellina al confine tra la Lombardia ed il Trentino. La sua forma piramidale si erge maestosa ed imponente al culmine della Val Cedèc e, guardandola dal basso, incute un certo timore anche per la sua somiglianza con la montagna delle montagne: il K2". Comincia così il bel racconto della salita al Gran Zebrù, che il nostro lettore Marco Caccia voluto condividere con tutti noi.

"Il Gran Zebrù fa bella mostra di sé già dall’inizio del sentiero che conduce ai rifugi Pizzini e Casati e strega molti alpinisti ed escursionisti che camminano tra queste montagne che superano i 3000 metri di quota e che racchiudono i ghiacci perenni del ghiacciaio dei Forni.

È il 25 aprile 2008 e con Claudia, Mattia e Marco abbiamo deciso di trascorrere tre giorni tra questi monti e salire le cime del Cavedale e del Gran Zebrù. Il Cevedale ci permette di raggiungere la sua cima e di godere del bellissimo panorama senza particolari problemi, mentre la cima del re ci tira un brutto scherzo e decidiamo di rinunciare a salire.

Ormai però la maestosità e la bellezza di questa montagna ci hanno stregato e nei mesi successivi più volte cercheremo di ritornare, ma purtroppo senza mai riuscirci.

Così passa quasi un anno; è il 2 maggio 2009 e con Claudia, Mattia e Rosa siamo ancora ai piedi del nostro K2. Salendo al rifugio la “nostra montagna” rimane coperta da fitte nebbie come ad indicarci di dimenticarla. La nebbia si alza un poco ed inizia a nevicare con violenza; il morale scende, ma le previsioni per il giorno successivo sono buone…ci crediamo!

La sveglia per me e Mattia suona prima dell’alba, mentre Claudia e Rosa partiranno più tardi per salire un’altra cima nelle vicinanze, ed il primo sguardo vola fuori dalla finestra…il cielo è scuro, ma limpido, non c’è una nuvola ed il Gran Zebrù ci si mostra bello come non mai!

In questo periodo dell’anno le salite in quota sono monopolio quasi esclusivo degli scialpinisti e noi, con le nostre ciaspole, non siamo visti proprio di buon occhio anche perché, a differenza degli sci, con le racchette, il tempo di discesa è quasi come quello di salita! Per questo partiamo prima di tutti e con passo lento, ma costante iniziamo a tracciare la via nella neve ventata trasportata nella notte. Camminiamo nel silenzio assoluto mentre i primi raggi di Sole iniziano a colorare le vette che ci circondano dando vita ad uno spettacolo difficilmente spiegabile a parole.

Mentre dal basso vediamo partire i tanti scialpinisti risaliamo il collo di bottiglia, poi su per il ripido pendio est fino ad pianoro da cui si vede la vetta, ma c’è ancora un pendio molto ripido prima della cresta che ci porterà alla croce di vetta.

Così dopo poco più di tre ore di cammino sbuchiamo sulla sottile cresta che conduce alla croce dove una guida valdostana ha passato la notte in tenda per acclimatarsi per una spedizione!

La gioia tra noi esplode, siamo i primi ad arrivare in vetta oggi e l’abbiamo battuta tutta noi. La fatica di colpo svanisce e lascia spazio ai complimenti ed alla soddisfazione infinita di aver raggiunto la cima del re, dove gli Alpini hanno compiuto alcune imprese straordinarie durante la Prima Guerra mondiale e i cui segni sono ancora a tratti visibili.

Purtroppo la Meringa, un grande ghiacciaio sospeso sulla Nord del Gran Zebrù, non c’è più; è crollata nel 2001 a causa del riscaldamento globale, ma il panorama a 360° di cui godiamo non ha eguali.

In cielo non c’è una nuvola e le cime innevate del Bernina, Monte Rosa, Ortles, Cevedale, Adamello e anche le nostre “piccole” Orobie si stagliano nel cielo blu…Non ci sono parole per descrivere questi momenti! Scattiamo un po’ di foto, un sorso di the, un po’ di cioccolato e via; siamo pronti per iniziare la discesa prima che arrivi la carovana di scialpinisti che poi veloci scieranno sulle pendici del re.

Arrivati al rifugio brindiamo felici al risultato ottenuto e ci ricongiungiamo con Claudia e Rosa che hanno raggiunto una cima di 3000 metri. Brave!

Dal rifugio e dal sentiero che ci riporta a Santa Caterina non possiamo fare a meno di continuare a voltarci ad ammirare la spettacolare piramide del Gran Zebrù che oggi ci ha concesso di calcare la sua vetta realizzando una salita da sogno! Spesso le cronache raccontano di incidenti accaduti in montagna e di persone morte mentre cercavano di salire una cima e spesso ci si chiede perché gli alpinisti si spingano in zone tanto ostili e pericolose. Alla ricerca di cosa?

La risposta a queste domande è difficile da sapere, ma sperimentando sulla propria pelle la gioia, le sensazioni ed i sentimenti trasmessi da una scalata come quella del Gran Zebrù ci si può fare una vaga idea del perché gli alpinisti continuino a rischiare per “la conquista dell’inutile”.

Marco Caccia

 

      

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