Finalmente sul Kimshung! La nostra telefonata con Cazzanelli ancora al campo base
François Cazzanelli, Giuseppe Vidoni, Benjamin Zörer e Lucas Waldner hanno conquistato l’inviolata vetta del Nepal. L’emozionante chiacchierata al satellitare con lo scalatore della Valtournenche, che “inseguiva” questa cima dal 2015
«Sono fuori dalla tenda, con il tramonto sulle cime davanti a me. Mi sto gelando le chiappe, ma non me ne frega nulla… sono troppo felice»!
La voce, rotta dall’emozione, è quella di François Cazzanelli. Insieme a Giuseppe Vidoni e ai due austriaci Benjamin Zörer e Lucas Waldner, ha appena salito il Kimshung, una vetta nepalese di 6.781 metri che inseguiva da dieci anni.
«Arrivare lassù è stata una delle più grandi gioie della mia vita. Una montagna che inseguivo da anni. Alla base di questa parete si sono intrecciate così tante storie… Qui ne abbiamo vissute di tutti i colori e, se ci ripenso, sembra quasi una follia».
La sua voce arriva da più di seimila chilometri di distanza, ma sembra qui, davanti a me. L’emozione vibra nello speaker del telefono, esplode, è palpabile, contagiosa.
«Non poteva che chiamarsi Destiny, destino, questa nuova via. Perché davvero questa salita racchiude tutte le storie, le emozioni e le persone che si sono intrecciate intorno a questo progetto.»
Un progetto nato nel 2015, quando François posò per la prima volta lo sguardo sulle pendici inviolate del Kimshung, insieme al trentino Giampaolo Corona. Poi il grande sisma che colpì il Nepal in primavera li costrinse a tornare indietro.
Nel 2016 tornarono, ancora più affiatati e motivati, con la guida alpina Emrik Favre. Fu una spedizione sfortunata, finita con un brutto incidente e un infortunio al braccio per Cazzanelli. Ma Franz non è tipo da arrendersi: nell’autunno scorso era di nuovo lì, al campo base del Kimshung, circondato da una folta squadra di amici e guide valdostane — Roger Bovard, Emrik Favre, Jérôme Perruquet, Stefano Stradelli, e i “naturalizzati” Francesco Ratti e Giuseppe Vidoni.
Due tentativi, entrambi falliti. Il secondo interrotto per tentare il soccorso della cordata ceco-slovacca formata da Marek Holecek e Ondrej Huserka, rimasta bloccata tra i ghiacci del Langtang Lirung.
Ma chi conosce un po’ Franz lo sa: la tenacia è il suo pane. Quando la montagna si fa dura, lui diventa ancora più determinato.
E questa volta, la montagna ha ceduto. I quattro sono i primi a toccare la vetta del Kimshung, seguendo una linea diretta sulla parete nord-est: logica, esposta, ma di una bellezza feroce. Milletrecento metri con passi di M5, AI4 e pendenze di neve fino a 60 gradi.
«Il fatto che io e Giuseppe conoscessimo già gran parte della via ha fatto la differenza. Ma soprattutto le condizioni erano stratosferiche. L’alluvione di inizio ottobre, purtroppo devastante in basso, in alto ha creato ghiaccio perfetto. E poi il regalo più grande: il meteo, stabile e limpido. Le notti gelide, sì, ma di giorno faceva caldo e non c’era vento. Pensa che siamo arrivati in cima solo con il completo in gore-tex! I piumini li abbiamo messi solo per la discesa».
Discesa tutt’altro che semplice: questa montagna non concede lati facili. «L’ultimo pendio di neve prima della cima mi ha sorpreso. Talmente dritto che, arrivato in alto, non vedevi più la base. Nessuna possibilità di assicurarsi. Poi, in discesa, abbiamo attrezzato dodici doppie, lasciando tutto il materiale che avevamo. Solo una volta tornati sul ghiacciaio abbiamo smontato tutto e siamo scesi al campo base. Alle 19 eravamo finalmente nelle nostre tende».
Zörer e Waldner erano partiti in autonomia, ma da subito hanno scelto di unirsi a Cazzanelli e Vidoni. «Ci siamo conosciuti al campo base: una bellissima sorpresa. Due ragazzi giovani, entusiasti, con una voglia di fare incredibile. Sono le nuove generazioni di alpinisti, e avranno ancora molto da insegnarci».
Intanto gli altri compagni — Roger Bovard, Stefano Stradelli, Marco Camandona e Étienne Janin — tentavano la cresta nord-est dello Yansa Tsenji (6.567 m). «Purtroppo, si sono fermati a duecento metri dalla vetta, ma vanno tutti i miei complimenti per essersi messi in gioco su un obiettivo così difficile. Soprattutto a Marco, che a cinquant’anni, dopo tutti gli ottomila, non smette mai di trovare nuova energia».
È tempo di tornare in tenda. Il sole è scomparso dietro le vette del Langtang, ma Franz ha ancora qualcosa da dire. La sua voce è leggera, vibra di felicità pura e riconoscimento.
«Vorrei dedicare questa salita a Oscar Piazza, la persona che mi ha fatto conoscere questa cima incredibile. E a Giampaolo Corona: lui non ha potuto chiudere il cerchio, ma è come se fosse stato con me a ogni passo di questa ascensione. Ora torno in tenda, domani iniziamo la discesa, e poi qualche giorno a Kathmandu dai nostri bimbi. Un abbraccio da tutti noi».