
Una buona notizia per scialpinisti, escursionisti e per chi lavora in ambiente innevato è stata diffusa ieri, mercoledì 8 ottobre, negli Stati Uniti, ma arriva in realtà dalla Norvegia e dalle Alpi italiane.
I risultati dei test condotti da Eurac Research di Bolzano sul Safeback SBX, un dispositivo norvegese già in commercio, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica JAMA, in concomitanza con il congresso annuale dell’ICAR, la International Commission for Alpine Rescue, che si tiene in questi giorni a Jackson Hole, in Wyoming.
Il nuovo dispositivo sfrutta la porosità della neve – un principio dimostrato dallo stesso gruppo di ricerca di EURAC – per prelevare aria ricca di ossigeno e portarla davanti a naso e bocca grazie a una pompa elettrica. Una volta attivato tramite un comando posto sugli spallacci dello zaino, il Safeback SBX pompa fino a 150 litri di aria al minuto fino a un massimo di 90 minuti.
Grazie a questo flusso d’aria, anche una piccola sacca d’aria è sufficiente alla persona sepolta con vie aeree libere per sopravvivere, nonostante l’anidride carbonica emessa respirando, oltre i 35 minuti considerati fino a ora il limite della sopravvivenza, e quindi per un intervento salvavita del Soccorso Alpino.
Il test sulle Dolomiti
Un anno e mezzo fa, nel marzo del 2023, sulle Dolomiti a circa 2000 metri di quota, 24 volontari e volontarie riversi a faccia in giù sono stati sepolti sotto mezzo metro di neve. Metà di loro aveva sulle spalle un dispositivo integrato nello zaino che aspira aria da dietro la schiena e la pompa nell’area del viso. L’altra metà aveva uno zaino simile, ma con un dispositivo non funzionante.
Quattro componenti del secondo gruppo, il cosiddetto “gruppo di controllo”, hanno chiesto di interrompere l’esperimento perché non si sentivano bene, e sette sono rimaste sepolte in media 6,4 minuti prima che la saturazione d’ossigeno scendesse sotto l’80% e l’esperimento venisse fermato come previsto dal protocollo.
Del gruppo equipaggiato con il dispositivo funzionante nessuno ha chiesto di fermarsi e il seppellimento è durato per tutti i 35 minuti massimi previsti dall’esperimento (solo in un caso il test è stato interrotto prima ma non per problemi di ipossiemia). Il significato di tutto questo è importante. In un’emergenza reale, in presenza del dispositivo Safeback, il tempo a disposizione dei servizi d’emergenza o dei compagni della vittima sarebbe stato oltre cinque volte più lungo, e lo sviluppo di un arresto cardiaco sarebbe stato ritardato.
Quando l’azienda produttrice del dispositivo Safeback SBX si è rivolta a Eurac Research per farlo testare in modo indipendente, era chiaro che il team di ricerca internazionale guidato dal medico e ricercatore Giacomo Strapazzon avrebbe reso pubblico l’esito dello studio a prescindere dai risultati.
Per ricercatori e ricercatrici l’esperimento era una sfida perché tante persone venivano sepolte completamente nella neve, e si temeva che oltre due terzi di loro (tutti volontari e volontarie tra i 23 e i 54 anni, appassionati di scialpinismo) avrebbero dovuto essere disseppelliti d’urgenza. Le misure di monitoraggio e sicurezza erano altissime, ma tutto è filato liscio.
I risultati erano molto attesi viste le promesse rivoluzionarie del dispositivo. In vista della prossima stagione invernale, dopo analisi e verifiche accurate, i risultati di questi test estremi vengono pubblicati e portano buone notizie a tutte le persone che frequentano la montagna d’inverno.
“Nessun dispositivo può sostituire la prevenzione, che è lo strumento principale per salvare vite in montagna, ma il nostro trial clinico dimostra che questo strumento è molto efficace per prolungare la sopravvivenza sotto la neve e far guadagnare tempo nelle operazioni di soccorso”, spiegano Frederik Eisendle e Giacomo Strapazzon, autori principali del paper e parte del team di Eurac Research. “Considerato che l’asfissia è letale per circa due terzi delle vittime da valanga, e che la morte sopraggiunge in media entro i primi 35 minuti, il fatto che nessuna delle persone coinvolte nel test sia scesa sotto la soglia limite di saturazione dell’80% in questo lasso di tempo è davvero molto notevole”, continuano i ricercatori.
Hanno collaborato ai test l’Università di Bergen (Norvegia), il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico italiano (CNSAS), l’Istituto per lo Studio della Neve e delle Valanghe (SLF), di Davos in Svizzera, l’Università di Colonia (Germania), l’Università Medica di Innsbruck (Austria) e l’Università degli Studi di Padova, l’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige e l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Milano
Decisivo il supporto logistico della Scuola Alpina della Guardia di Finanza e del personale degli impianti a fune di Passo Rolle. Lo studio è stato finanziato dall’Istituto per la Medicina d’Emergenza in Montagna di Eurac Research e dal MountainLab” (Mountain Medicine Research Group) dell’Università di Bergen.