
“Quarcuno me domanna “E che ce trovi / de bello su ‘ste cime sdirupate? / Me spiegheressi er gusto che ce provi / che te ciammazzi a fa ‘ste faticate?” / “Ma che ce trovo? E chi lo po’ descrive / La neve, er sole, mille e mille fiori / e zinfonie de luci e de colori / Sù l’anima se spamme, sù se vive”.
Un cartello, all’inizio di un sentiero dell’Appennino laziale (ma siamo al confine con Abruzzo, Marche e Umbria), ricorda un personaggio che merita di essere più conosciuto. Si chiamava Federico Tosti, è un poeta dialettale romanesco, nel 1952, a 54 anni, diventa la prima guida alpina di estrazione cittadina dell’Appennino. Ma ha un altro lavoro e non si fa pagare.
“Non mi chiedete chi sono / né donde vengo chiedetemi. / Io sono Nessuno / e vengo dal Nulla” si presenta Tosti in un’altra poesia. In una lettera del 1989 spiega di essere “nato a Roma il 22 ottobre 1898 da genitori entrambi abruzzesi, prima che quell’imbecille di Mussolini staccasse una notevole parte d’Abruzzo dalla provincia dell’Aquila per creare la provincia di Rieti e attaccarla al Lazio”.
La radici di Federico sono ad Accumoli, a nord-ovest di Amatrice, con la quale (e con Norcia, Castelluccio e Arquata del Tronto) ha condiviso il terremoto del 24 agosto 2016. Per secoli, Accumoli è stata l’ultimo centro abruzzese lungo la Salaria, prima dell’Umbria e delle Marche che confluiscono sui Sibillini.
Tosti scopre la montagna sul Vesuvio, che sale a “circa 12 anni” con un amico di Boscotrecase. “Arrivammo sull’orlo del cratere e ci stendemmo bocconi a guardare l’inferno scatenato sul fondo. Tornai a casa con le scarpe a brandelli e i vestiti laceri, ma in compenso portavo un tascapane pieno di lapilli di tutti i colori”, scriverà anni dopo.
Veste la divisa degli Alpini nella Prima Guerra Mondiale, poi va in montagna come direttore di gita della Sezione di Roma del CAI, “accompagnando amici e nemici”. Al Gran Sasso non apre vie nuove, ma ripete più volte itinerari classici come la traversata delle Tre Vette.
Guida alpina che non si faceva pagare
Diventa portatore nel 1950, dopo un corso sul Monte Rosa. Un anno dopo segue il secondo corso, e “viste le mie attitudini furono saltati i tre anni di noviziato come portatore e tornai a Roma con la nomina a guida. Fui così la prima guida alpina che Roma dette alle Alpi”.
Federico Tosti racconta l’esperienza su Lo Scarpone, il bollettino del CAI. Si dichiara “più contento del mio libretto di guida che se mi avessero dato la laurea dell’Università di Oxford”. Poi, però, non esercita la professione per guadagnare.
“Ho fatto da guida a migliaia di alpinisti gratuitamente. Ho portato sulle vette uomini e donne, italiani e stranieri, e solo in due volte ho acconsentito a un compenso”, racconta nel 1989. Scrive di “una signorina di Venezia” che gli chiede di portarla sul Pelmo, e che lui “fa salire in vetta usando pazienza, fatica e, qualche volta, la maniera forte”.
“Tosti compone versi in dialetto romanesco, e alla fine dell’ascensione li offre ai suoi compagni di cordata”, racconta un socio della Sezione di Milano del CAI, che Federico accompagna nel 1954 sul Corno Piccolo “per una via (è ancora il milanese a parlare, ndr) pari alle più celebrate delle nostre Dolomiti”.
Tre anni dopo, mentre conduce degli escursionisti di Cagliari verso il Pizzo Cefalone, una facile vetta secondaria del Gran Sasso, la guida-poeta “ferma prima che facesse vittime un masso staccato dal fianco della montagna, e riporta una brutta frattura al braccio destro”. Per questo gesto gli viene assegnato il Premio Solidarietà Alpina 1957.
Tosti scrive spesso su Lo Scarpone e sulla Rivista Mensile del CAI. A volte ricorda in versi gli alpinisti caduti. “Emilio che scherzavi co’ la morte /come un guerriero antico leggendario / Eccote, freddo, avvolto nel sudario / Colpito a tradimento da la sorte”, scrive in una poesia dedicata a Emilio Comici dopo la sua morte nel 1940.
“Per le sue vittime e per la sua bellezza noi sentiamo vivere in noi questa Montagna nostra”, scrive Tosti nel 1951 sulla Rivista Mensile. “Essa ci parla con voce materna, e il richiamo ci risuona nell’anima anche quando, esuli e pellegrini, vaghiamo tra i fastigi sfolgoranti e gloriosi delle Dolomiti, o tra la ciclopica austerità delle cime che cingono di una bianca barriera la frontiera occidentale della nostra terra”.
Un rifugio in sua memoria
Oggi la memoria della “prima guida alpina de Roma” si conserva soprattutto tra i monti da cui la sua famiglia veniva, e ai quali Tosti era legato. Nel 2023, ai 125 anni dalla nascita, la Sezione di Amatrice del CAI realizza Me chiamo Federico!, una raccolta di scritti, documenti e foto che può essere scaricata dal sito.
Nello stesso periodo, l’ASBUC (Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico) di Terracino restaura a 1577 metri di quota il rifugio Federico Tosti, belvedere sulla conca di Amatrice e i Monti della Laga che si raggiunge in un’ora e mezzo di cammino dal paese. Il CAI di Amatrice, da parte sua, indica il sentiero con segnavia bianco-rossi e cartelli.
Dal rifugio Tosti si scoprono anche il Corno Grande e altre cime del Gran Sasso, da Terracino si vede bene il Vettore, “tetto” dei Sibillini. Il percorso, che segue una strada sterrata con degli strappi ripidi, è sconsigliato nelle giornate più calde dell’estate, e può essere seguito d’inverno con le ciaspole.
Il rifugio, affiancato da un’ottima fonte, è privo di reti e materassi, ma è affiancato da piazzole dove sistemare una tenda. La camminata può essere prolungata verso i Pantani, il Monte Utero o lo Scoglio Pecorino. Il rifugio è un possibile posto-tappa in un trek da Cittareale verso i Sibillini. In autunno la zona è molto frequentata dai cacciatori, e gli escursionisti devono fare attenzione.
Come arrivare al rifugio Federico Tosti
Terracino, frazione di Accumoli, si raggiunge lasciando la Via Salaria a Torrita (se si arriva da Rieti) o ad Accumoli se si arriva da Ascoli Piceno. Si lascia l’auto in un piazzale (1169 m) accanto alle SAE, i prefabbricati del post-terremoto, e a un bar-alimentari. Una tabella CAI indica i sentieri della zona.
Si sale sull’asfalto, si va a destra, e si continua per la strada sterrata (segnavia 390) che lascia a destra il cimitero. A un bivio si scende nel bosco, da cui si esce accanto a dei massi. Si riprende a salire verso le rocce dello Scoglio Pecorino, con tratti comodi e altri ripidi.
Toccata una grande quercia (“nata nel 1915 circa” spiega un cartello) si traversa un prato da cui si vede il rifugio. La sterrata si alza a tornanti, rientra nella faggeta, e riprende a salire. Un ultimo strappo porta alla conca erbosa dove sono una fonte e il rifugio Federico Tosti (1577 m, 1.30 ore; dislivello + 430 m).
Chi vuole allungare la camminata può continuare a sinistra verso la Forca d’Acqua Cerasa (1578 m) e lo Scoglio Pecorino (1661 m, 1.15 ore a/r). Dall’altra parte, un sentiero raggiunge la Force dei Copelli e i Pantani (1600 m, 2.15 ore a/r). Si può anche salire al Monte Utero, la cima più alta della zona. Si torna per la stessa via (1.15 ore).