Carlo Alberto Zanella: “salvare la montagna da eccessi e overtourism è prioritario”
Il presidente del CAI Alto Adige ha fatto sentire forte e chiara la sua voce: “tamarri”, traffico e finti rifugi fanno male a tutti. Ma, a suo dire, nessuno intende affrontare seriamente questi problemi.
E’ stato un agosto da matti? “Non più del solito, solo che certe situazioni critiche sono state evidenziate anche a causa di episodi particolarmente strani. Ma va bene così, più si parla dei problemi meglio è”. Carlo Alberto Zanella, presidente del CAI Alto Adige, in queste settimane non ha perso l’occasione di dire la sua. La sua voce è risuonata forte e chiara in tutte le sedi possibili. Quasi sempre fuori dal coro. Lo abbiamo raggiunto al telefono.
Il caso del tornello del Seceda ha fatto il giro del mondo.
Non poteva essere diversamente. E va detto che il tornello funziona ancora oggi, nessuno si vuole prendere la responsabilità di farlo smantellare, anche perché si trova su un terreno privato. Eppure il tornello si trova all’interno di un Parco naturale, dove ogni nuova installazione dovrebbe quantomeno essere concordata. Il tornello comunque si può aggirare percorrendo un sentiero alternativo. Le indicazioni in loco non mancano, ma moltissimi – soprattutto giapponesi e cinesi – preferiscono pagare qualcosa piuttosto che discostarsi dal gregge.
Il Seceda è comunque diventato il simbolo dell’overtourism 2025.
Certo. E pensare che tutto è nato da un guasto che ha tenuto fermo per un’ora l’impianto di risalita, generando le code che tutti abbiamo visto. Tutti i “tamarri” (parola che Zanella ha scelto di utilizzare più volte nel corso della chiacchierata, ndr) vogliono fare quella foto. Sempre la stessa, uguale per tutti. Ma loro sono oggi la maggioranza degli utenti dell’impianto. Al Seceda come altrove, peraltro. Alla maggior parte dei residenti tutto questo non piace. Eppure iniziative concrete per porre un limiti a queste cose non se ne vedono. Anzi c’è chi paventa un inesistente rischio di recessione e di riduzione di posti di lavoro. Quindi avanti così.
Il “nuovo” assalto alle Dolomiti crea problemi davvero irrisolvibili?
No, tutto si può sistemare se c’è la volontà di farlo. Il traffico automobilistico sui Passi è un problema da risolvere al più preso. Oggi c’è la coda di auto verso ogni valico. Gli automobilisti si fermano in vetta 10 minuti parcheggiando dove capita, scattano la solita foto, magari prendono un caffè o una bibita e ripartono alla volta del prossimo luogo da fotografare. Il traffico è insostenibile, l’inquinamento anche. Per questo ho rilanciato la proposta di chiudere i passi al traffico, almeno dalle 10 alle 16. Chi va per sentieri alle 10 del mattino è già in cammino da un pezzo quindi non subirebbe limitazioni. I “tamarri” invece se ne dovrebbero fare una ragione. Lo so, si tratterebbe di un provvedimento forte. Ed è per questo che nessun ente pubblico lo vuole prendere, salvo poi farsi bello per qualche iniziativa spot.
Limitare l’afflusso turistico potrebbe creare problemi di occupazione?
Almeno in Alto Adige assolutamente no. Il turista tipico di quest’anno, per esempio, non prenota la settimana intera, si ferma quando va bene per tre o quattro giorni. Non a caso le statistiche parlano di una (lieve) contrazione delle presenze. Oggi chi ama la montagna va altrove, scappa da questi luoghi superaffollati. Girando per le Dolomiti venete, per esempio, ho incontrato tantissimi “fuggiaschi”: quasi ovunque spendono meno, stanno tranquilli e godono della bellezza di luoghi altrettanto magnifici. Senza dover condividere sentieri e rifugi con torme di persone non educate alla montagna, dalle mille pretese e spesso arroganti nei rapporti con rifugisti e con i tradizionali frequentatori.
Sempre più rifugi si pubblicizzano come resort d’alta quota
Un’altra cosa fuori dal mondo. Se della tua struttura vuoi fare un hotel di lusso da 400 euro a notte sei liberissimo. Ma non chiamarlo rifugio, così generi solo confusione o false aspettative. Il fatto è che la struttura classificata come rifugio gode di molti aiuti da parte degli enti pubblici – dalle ristrutturazioni al trasporto materiale – e nessuno intende rinunciarvi. Ci sono diverse norme che rendono più facile la stessa gestione, per non parlare del trattamento fiscale. Anche su questo tema è improrogabile intervenire, per il bene stesso della montagna. Proporrei di classificare i rifugi in due semplici categorie, a seconda della difficoltà di accesso. Solo quelli più difficili da raggiungere dovrebbero poter godere di certe facilitazioni. A quel punto sarebbe tutto più chiaro e nessun albergatore d’alta quota avrebbe più l’interesse a mantenere la denominazione di rifugio.