Storia dell'alpinismo

La Stella Polare nel Mar Artico

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“Una grande regione settentrionale in cui d’estate non esiste la notte e la luce manca durante l’inverno”. Il Polo Nord, così definito tre secoli prima di Cristo, è stato per oltre un millennio un luogo mitico e irraggiungibile, per il quale migliaia di persone hanno affrontato stenti inimmaginabili e molti sono morti. I primi a raggiungerlo furono Umberto Nobile e Roald Amundsen che sorvolarono il Polo a bordo del dirigibile Norge l’11 maggio 1926. La storia dell’esplorazione italiana iniziò con la spedizione del Duca degli Abruzzi del 1899-1900 portata a termine da Umberto Cagni dopo l’abbandono forzato del capo spedizione, ferito ad una mano durante un allenamento con le slitte.

La conquista del «Grande Chiodo», il Polo Nord come lo chiamano gli inuit, costituisce uno dei capitoli più affascinanti dell’esplorazione del Pianeta. Entrambi i Poli furono raggiunti soltanto alla fine del Novecento. Ma sin dall’antichità gli uomini erano a conoscenza delle malinconiche terre boreali. «Una grande regione settentrionale in cui d’estate non esiste la notte e la luce manca durante l’inverno»: è la prima testimonianza scritta dell’esistenza dell’Artico fornitaci dal greco Pitea di Marsiglia nel III secolo a.C.

Per secoli era stata la speranza di procurarsi le spezie aggirando il monopolio arabo, e la promessa delle ricchezze custodite dal Nord (l’ambra, le pellicce, l’avorio, le balene, le schiave bionde) a decidere la rotta delle navi mercantili. Nell’Ottocento e nel Novecento i viaggi settentrionali erano mossi invece dalla passione per la conquista, dalla scoperta e dalla domesticazione della natura.

Per raggiungere quel luogo virtuale sotto la verticale della Stella Polare migliaia di persone avevano affrontato stenti inimmaginabili e molti erano morti.

Le nazioni europee (Inghilterra, Olanda, Norvegia, Russia) già da tempo veleggiavano tra i ghiacci alla ricerca dei mitici passaggi a nord-est e a nord-ovest, mentre per un lungo periodo di tempo le imbarcazioni dei nostri si erano tenute prudentemente alla larga da quel mare burrascoso.

L’impresa del 1899-1900 di Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi fu la prima spedizione polare italiana.
Il 12 luglio 1899 Luigi Amedeo salpò da Arcangelo con 10 italiani, 9 norvegesi e con 121 cani siberiani diretto alla Terra di Francesco Giuseppe, uno dei più importanti arcipelaghi del Grande Nord, centoventi isole battezzate con i nomi favolosi dei principi asburgici.. Dopo la difficile navigazione tra i ghiacci del canale Britannico, l’equipaggio della Stella Polare avvistò finalmente gli scogli rocciosi della baia di Teplitz, nella Terra del Principe Rodolfo, la più settentrionale fra le isole dell’arcipelago. Purtroppo la baia non si rivelò un approdo sicuro, perché aperta alla pressione del pack. I timori del Duca si rivelarono fondati. La notte dell’8 settembre la pressione del pack inclinò paurosamente la nave e ne danneggiò lo scafo. L’equipaggio abbandonò la Stella Polare e si stabili in due capanne di fortuna costruite sulla spiaggia.

Per il Duca degli Abruzzi e il suoi uomini iniziava la straordinaria avventura della vita sul ghiaccio. Dai diari tenuti negli undici mesi trascorsi all’arcipelago di Francesco Giuseppe traspare a ogni pagina il tentativo di ricreare una scheggia di vita civile: la meticolosa preparazione della spedizione con le slitte, le passeggiate con i cani e la caccia all’orso durante la perenne luce estiva, le partite a carte nel buio invernale, la celebrazione del Natale e dei compleanni, persino la preparazione del pane e di dolci (con le uova gelate) da parte del cuoco italiano.
Durante un allenamento con le slitte, nella stagione più fredda e tempestosa dell’anno, il Duca subì un grave incidente che gli costò l’amputazione delle falangi di due dita e la dolorosa rinuncia di guidare la spedizione con le slitte verso il Polo, il cui comando fu affidato al comandante Umberto Cagni.

Dopo la fallita partenza del 20 febbraio 1900, a causa di temperature che scesero anche a 52 gradi sotto zero, la marcia verso il Polo ripartì l’11 marzo. Fu probabilmente a causa delle spaventose condizioni climatiche e dei ghiacci che la squadra composta dal conte Francesco Querini, dalla guida Felix Ollier e dal macchinista Henrik Alfred Stökken, il primo gruppo dei tre in cui era divisa la spedizione con le slitte, non fece più ritorno alla baia di Teplitz. Mentre il secondo gruppo, composto dal medico di bordo Achille Cavalli Molinelli, dal marinaio Giacomo Cardenti e dalla guida valdostana Cyprien Savoie faceva ritorno al campo base, il gruppo comandato da Cagni e composto dalle guide Joseph Petigax e Alexis Fenoillet di Courmayeur e dal marinaio Simone Canepa si spingeva più a nord.

Il 25 aprile 1900 Cagni e i suoi uomini raggiunse gli 86°34’ di latitudine nord, superando il precedente record del norvegese Fridtjof Nansen di 37 chilometri. Mancavano 381 chilometri al Polo, quando Cagni decise per il ritorno. Dopo 45 giorni di cammino su di un pack alla deriva e sempre più sconvolto da canali e dighe di pressione Cagni e i suoi avvistarono finalmente il contorno della capanna. Era il 23 giugno 1900, avevano trascorso sul ghiaccio 104 giorni.

Il 6 settembre la Stella Polare, liberata dalla morsa del ghiaccio e riparata del danno subito durante l’autunno precedente, raggiunse il porto di Tromsö, nel nord della Norvegia.

La spedizione polare del Duca degli Abruzzi, nonostante il fallito tentativo di raggiungere la meta, fu un grande successo mediatico. A conferma di quanto il viaggio della Stella Polare avesse colpito l’immaginario popolare furono le continue ristampe e traduzioni de “La Stella Polare nel mare Artico”, la relazione ufficiale scritta dal Duca, da Cagni e da Cavalli: quel libro fu il più venduto nell’anno 1905.

Intorno alla spedizione si sviluppò una fitta produzione di almanacchi, cartoline, volumetti e figurine da collezionare. Le pubblicità celebravano le maglie, il burro, il cioccolato e il dolcetto utilizzati dai temerari esploratori.

Jenny Maggioni

 

 

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