
La storia delle guide alpine di Cortina è iniziata quando Paul Grohmann consegnò il primo libretto di Guida a Francesco Lacedelli, nel 1864. Il “Pioniere” dell’esplorazione, soggiornò a Cortina dal 1862 al 1865 e si affidò sempre agli alpinisti ampezzani per esplorare le Dolomiti di Cortina e raggiungere vette inviolate. Da allora sono migliaia gli alpinisti di tutto il mondo che si sono affidati alle guide ampezzane. Tra loro “Paolino” Tassi, che abbiamo incontrato per parlare della sua professione, della sua esperienza trentennale di guida alpina e del rapporto con i clienti.
Paolo quando e perché hai deciso di diventare guida alpina?
In realtà volevo diventare maestro di sci e mi trasferii da Bologna a Cortina d’Ampezzo. In montagna è normale scalare ma non pensavo di diventare guida alpina, pensa che nemmeno sapevo fosse una professione. Sciando e scalando con amici ero diventato bravo e un giorno incontrai una persona che diventò mio grande amico, Icaro De Monte che mi disse: “sei bravo perché non ti iscrivi a un corso per diventare guida alpina?” Ero in falesia a provare delle scarpette, lavoravo per Mario Lacedelli che le importava, e mancava un’ora al termine delle iscrizioni così andai a Longarone appena in tempo per fare il pagamento e iscrivermi. Dopo le selezioni uscirono le graduatorie e con mia sorpresa avevo dei voti strepitosi e mi sono detto: “che non sia la mia vera strada questa?”.
Come si è evoluto il tuo percorso professionale?
Il mio curriculum è il più variegato e casuale che si possa immaginare. Ho arrampicato ovunque senza mai cercare alti livelli, mi son legato con tante persone e ho salito vie molto belle in Dolomiti e in mezzo mondo aprendo anche qualcosa di nuovo sempre divertendomi perché il divertimento è fondamentale per vivere e lavorare bene. Poi per caso ho conosciuto il Telemark ed è cambiato tutto di nuovo e son tornato al primo amore ma in modo diverso da quello che avevo immaginato. Mi riusciva naturale e senza volerlo son diventato un “Telemarkista” piuttosto noto. Ho fatto la traversata delle Alpi con un amico, Mauro Girardi, in tenda e il regista Fulvio Marinai realizzò un film, “Gli Alpinauti del Telemark”. Poi fui invitato in Norvegia e con amici andammo in barca per sciare arrivando dal mare, capii che quella era la mia vita e che in quel modo dovevo fare la guida. Parlare “semplicemente” di un curriculum, quindi, è impossibile o addirittura riduttivo.
Cortina ha avuto grandissime guide alpine. Qual è la tua opinione a riguardo?
Sicuramente dobbiamo a loro lo sviluppo della nostra professione in quest’area e non solo. Grazie ai Dimai e Lacedelli di Cortina e gli Innerkofler di Sesto, solo per citare tre “dinastie” tra le più famose, si è formato e concentrato in quest’area un turismo d’élite ma non dal punto di vista puramente economico. La conca ampezzana ora può contare su una frequentazione di persone che amano la montagna, che non hanno paura della fatica e a cui piace mettersi in gioco perché scalare e arrivare in vetta non è mai scontato.
Quando son diventato guida alpina, trent’anni fa, pensavo di non poter mai essere come chi mi aveva preceduto, di non riuscire a trasmettere le stesse emozioni ai clienti. Qualche giorno fa ho accompagnato un gruppo di coreani a fare il giro delle Tre Cime, siamo entrati nel rifugio Innerkofler, anche se ora lo hanno chiamato Locatelli per me è il rifugio Tre Cime, e loro come me si son fermati a guardare le fotografie in bianco e nero dei pionieri dell’alpinismo sulle pareti. È stato bello capire che ero riuscito a dare emozioni “diverse” a queste persone, inizialmente attratte solamente da montagne tra le più conosciute al mondo.
Lo sviluppo della professione si deve originariemente ai ricchi viennesi e bavaresi che potevano pagare le migliori guide con somme davvero importanti. Secondo te erano semplici clienti, esploratori o sognatori che cercavano nella “conquista” di una vetta appagamento personale?
Credo che fossero tutto questo messo insieme. Va anche detto che clienti così importanti ed esigenti sono stati sicuramente un forte stimolo per superare ostacoli che si pensavano impossibili sia in parete sia nella vita di tutti i giorni. Alcune guide dell’epoca erano fortissime, lo avevano nel sangue e per fortuna c’erano clienti che li tenevano allenati e stimolavano a esplorare a fondo il territorio. Anche oggi noi guide ci alleniamo continuamente per poter accompagnare una clientela sempre più esigente e preparata. Tornando alla domanda secondo me erano dei veri filantropi generosi che hanno condiviso, con le loro relazioni e scritture, le avventure che affrontavano perché era tutto diverso, si conosceva molto poco il territorio e alcune salite sono state vere imprese.
Mi viene in mente una doppia salita sulla stessa cima, Croda dei Rondoi. Fu raggiunta nel 1875 da Michl Innerkofler con Paul Grohmann e nel 1880 da Santo Siorpaes con Ludwig Grünwald. Registrarono la cima con nomi diversi e quando, parlando tra loro, lo capirono ci risero sopra con un bicchiere di vino perché erano amici non rivali. Oggi è ancora così?
Adesso è un po’ diverso, sicuramente il nostro è un lavoro personale e ogni guida ha il suo carattere, tra noi c’è soprattutto solidarietà. Rivalità vorrebbe dire rubarsi i clienti e sarebbe cosa bruttissima. C’è un po’ di sana competizione ma non rivalità. Un esempio, quando una guida giovane mi vede in genere accelera il passo per raggiungermi o superarmi ma non è rivalità, anzi, è competizione positiva e per me è uno stimolo. Tornando alla “cima per due” di cui hai parlato prima, io la trovo una cosa bellissima perché le cime non hanno scadenza, ovvero per far curriculum non ci sono delle date da rispettare.
Tu sei guida alpina da trent’anni, sono cambiati i clienti? E come si è evoluta la professione?
Un tempo si iniziava la stagione estiva a luglio con le ferrate che erano lunghe e faticose, poi qualche via in parete e il 30 di agosto chiudevano i rifugi, si faceva una bella grigliata e si attendeva la neve. Ora siamo fagocitati dalle agenzie e si lavora senza sosta da maggio a ottobre. La maggior parte dei clienti vuol camminare poi c’è chi vuole le vie ferrate o vie alpinistiche ma è il turismo che ha cambiato velocità e ci siamo adeguati. Almeno qui da noi è un lavoro a tempo pieno tutto l’anno con poche pause ed è un privilegio poter vivere lavorando solamente come guida alpina.
Una volta la parte invernale quasi non esisteva per le guide, adesso tra sci alpinismo, ciaspole e salite su ghiaccio si lavora molto anche da fine novembre ad aprile. Io soprattutto con la passione per lo sci lavoro più in inverno che in estate. Con i viaggi all’estero c’è ancora esplorazione e avventura vera, o almeno io interpreto così la stagione bianca. Ma ho molto da esplorare anche sulle montagne intorno a casa con canali, valli o discese che ancora non ho fatto.
Parliamo di Paul Grohmann. Era un buon alpinista in patria ma quando veniva qui in Dolomiti sceglieva sempre di essere accompagnato dalle migliori guide alpine.
Prova a immaginarti da straniero su montagne dove non era mai salito nessuno, o almeno nessuno aveva mai detto di esserci salito. Probabilmente anche tu sceglieresti di essere accompagnato da una guida locale. È stato abile da questo punto di vista Paul Grohmann perché oltre a essere bravo ha stimolato molto le guide che lo hanno accompagnato. Come lui anche chi è arrivato subito dopo: il Barone Von Eötvoss poi le sue figlie, Ludvig Grünwald, Adolf Witzenmann. Anche i fratelli Zsigmondy le prime volte che son venuti in Dolomiti si son fatti accompagnare. Dobbiamo a queste ricche e istruite persone se abbiamo memoria scritta delle gesta delle guide alpine nell’Ottocento e dell’inizio del Novecento.
Una curiosità: perché ti chiamano Paolino?
Perché son sempre stato il piccolo della compagnia. Mio papà mi chiamava Paolino, poi in ufficio guide a Cortina quando sono arrivato c’erano altre due “Paoli” e quindi il diminutivo era d’obbligo. A volte anche mio figlio mi chiama Paolino… doveva esser così.