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Sorapiss e Antelao, montagne meravigliose ma fragili

Le recenti frane dalla Croda Marcora ricordano quanto due tra le più belle montagne delle Dolomiti siano particolarmente soggette a crolli e frane di notevoli dimensioni

Il 14 giugno si è verificato un crollo imponente sulla Croda Marcora, con tanto di fumo e racconti spaventosi (“massi che volavano grandi come automobili”). Niente di nuovo. Tutta la costa che delimita il lato orientale della valle del Boite è soggetta a disastri naturali, da quando l’uomo ne ha memoria. L’altezza, con cime oltre i 3000 metri, e l’inclinazione dei pendii rendono questi eventi ancora più spettacolari, più che nel resto delle Dolomiti. Uno spettacolo non troppo gradito, almeno da chi abita ai piedi della montagna.

Qui di seguito, trovate un paio di estratti del mio prossimo libro (si intitola Dolomiti. Lo spettacolo infinito e sarà in libreria a partire dal 26 settembre) in cui ho raccolto un po’ di date e di riflessioni sulla fragilità delle due principali montagne dell’area: il Sorapiss e l’Antelao.

“Per chi oggi imbocca la via comune di salita al Sorapiss, quella tracciata da Grohmann e compagni nel 1864, è impossibile rivivere le sensazioni dei pionieri, troppe cose di più ci sono, sentieri attrezzati, rifugi muniti di ogni comfort, guide (di carta, digitali e in carne e ossa), telefoni cellulari, elicotteri del soccorso… e tante cose in meno, soprattutto i ghiacci e interi pezzi di montagna, crollati per l’erosione naturale e per la tremenda spinta del cambiamento climatico. Il Sorapiss è una delle montagne più fragili delle Dolomiti, e già la prima guida di Antonio Berti alle Dolomiti avvertiva che su questa montagna ‘il pericolo di scariche di sassi costituisce una preoccupazione costante in qualunque stagione, con qualunque tempo, in qualunque zona’. Quando poi è la terra a tremare, il Sorapiss cambia persino forma: è accaduto nel 1976 con il terremoto del Friuli, quando la Saetta, un esile, bellissimo campanile che si innalzava sopra il Ghiacciaio Occidentale, è crollata. Di quel pinnacolo rimangono testimonianze nelle vecchie guide e nel libretto intitolato La folgore di pietra scritto dal suo primo salitore, la guida alpina e Scoiattolo di Cortina Franz Dallago: straordinariamente la Saetta, fino a quella salita del 1969, era ancora vergine e Dallago, dopo un’epica scalata di sesto grado superiore, fu il primo e l’ultimo a mettervi piede.

2013, 2021, 2023, e l’ultima nel giugno 2025: le cronache delle frane che si staccano dal Sorapiss, soprattutto dalle pendici e canaloni della Croda Marcora, sono quasi sovrapponibili, i giornali descrivono ogni volta crolli imponenti, boati, alte colonne di polvere, fronti delle frane lunghi centinaia di metri e stime dei materiali caduti in migliaia di metri cubi. Per la sua fragilità, il gruppo del Sorapiss è diventato più sicuro d’inverno, quando il gelo incolla le rocce: l’alpinismo estremo dolomitico sceglie la stagione fredda per indovinare sulle pareti nuove effimere vie di ghiaccio e misto, con difficoltà altissime ma al riparo, si spera, dalle frane.

Bello e terribile è anche il regale vicino del Sorapiss: l’Antelao. Tanto che coloro che popolano le sue pendici ‘devono sempre dubitare qualche accidente’ scriveva a fine Settecento il notaro Belli di San Vito di Cadore (la citazione è del Berti, in Parlano i monti, 1948), ‘ed abbenché tutti li Filosofi dicano che non può essere un vulcano tanto lontano dal mare, tuttavia io sono di costante opinione che debba essere vulcano per li scherzi sopranaturali che ha fatto sempre la detta montagna nelle sue cadute, scherzi che non sono possibili senza fuoco’. Gli ‘scherzi’ come li chiamava il notaio, hanno causato nei secoli centinaia di morti.

Uno dei primi e più rovinosi fu il terremoto del 25 gennaio 1348, stesso anno della peste nera, che colpì una vasta area tra Friuli, Carinzia e Slovenia, tanto forte da causare danni persino a Napoli. In Cadore cancellò il villaggio di Villalonga, che si estendeva sul versante sudorientale dell’Antelao tra Vodo e San Vito, mentre sul lato opposto, nel ramo cadorino che termina ad Auronzo, rase al suolo il villaggio di Lozzo. Nel 1629, alla vigilia della peste manzoniana, una sezione di Borca fu travolta da una frana, che si ripeté ancora più rovinosa nel 1737. Ma la conta dei morti più drammatica risale al 1814: 269 vittime e due frazioni, Taolen e Marceana, cancellate (più in alto, sopra Borca, è sorto poi l’insediamento di Villanova). E ancora, una frana cadde nel 1868 per la cosiddetta Rovina di Cancia alimentata dall’intera faccia sudest dell’Antelao; la frana risulta in movimento ancor oggi, soprattutto dopo forti precipitazioni.

I nubifragi sono spesso l’innesco dei più recenti ‘scherzi’ della montagna, che su questo versante si ripetono con cadenza costante: 1994, 1996, 2009 con lo slittamento di 20.000 metri cubi di detriti e due morti, e ancora nel 2013 e nel 2014, quando il movimento della roccia originò poco sotto la vetta, portando via il bivacco Cosi e sconvolgendo la zona delle Laste su cui correva, e corre tuttora, la via normale di salita. L’episodio più recente è del 2015: il 4 agosto una frana di 100.000 metri cubi precipitò verso San Vito convogliandosi nel Ru Secco e arrivando a spazzare il piazzale della funivia; tre i morti, due dei quali stavano dormendo in camper nel parcheggio. Viene da chiedersi perché, dopo secoli di brutte esperienze, i cadorini insistano a vivere all’ombra dell’Antelao, ma la stessa domanda potremmo porla, ad esempio, agli abitanti di tanti comuni vesuviani. Evidentemente a convivere con un mostro, che sia un vulcano o un quasi-vulcano, ci si abitua”.

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