Rifugi

Nani Tagliaferri, il rifugio più alto delle Orobie Bergamasche

Collocata a 2.328 metri di quota, la struttura è dedicata alla memoria di Nani Tagliaferri, deceduto nel 1981 durante la scalata del Pukajirka Central nelle Ande Peruviane. Alla sua guida, dal 1985, c’è il fratello Francesco Tagliaferri

Situato a 2.328 metri nell’alta Valle del Vò, incastonato tra le cime del Pizzo Tornello, del Monte Trobio e del Monte Gleno, il rifugio Nani Tagliaferri nasce negli anni Ottanta per volere della famiglia dell’alpinista bergamasco da cui prende il nome, desiderosa di onorare la sua passione per la montagna e il legame con le Orobie.
L’opera fu realizzata grazie al lavoro dei volontari e amici di Nani del CAI di Valle di Scalve, che ancora oggi ne cura la gestione e la manutenzione. Un bell’angolo di mondo questo, anzi di montagna, dove il turismo sembra non aver ancora preso più di tanto il sopravvento. Inaugurato ufficialmente nel 1985, è anche un punto essenziale per chi desidera attraversare l’arco montuoso bergamasco, essendo inserito nell’Alta Via delle Orobie. Devastato da un incendio dopo un solo anno di attività, l’edificio venne ricostruito in tempo record e addirittura ampliato. Nel 2007 è stato ampliato con la costruzione di un piccolo corpo di fabbrica adiacente alla struttura originaria. Raggiungibile esclusivamente a piedi, può ospitare fino a 40 persone. L’atmosfera è ancora quella dei rifugi alpini più autentici: calda, conviviale, senza fronzoli.

Uno dei percorsi più frequentati per arrivare sino al rifugio parte dalla frazione Ronco di Schilpario e segue il sentiero numero 413 (12 km e 1300 metri di dislivello). Si può partire anche da Pianezza (frazione di Vilminore di Scalve) attraversando la Valle di Gleno, passando vicino al celebre bacino artificiale della Diga del Gleno, tristemente noto per il disastro del 1923. Altri accessi sono possibili dalla Val Belviso, dalla Val Cerviera e dal Passo del Vivione.

Per conoscere meglio il “tetto più alto delle Orobie bergamasche” abbiamo posto qualche domanda a Francesco Tagliaferri, che gestisce il rifugio fin dall’apertura. Ovvero da 40 anni tondi.

Com’è nata la tua avventura al Rifugio Tagliaferri e da quanti anni sei qui?
Con amici e volontari volevamo concretizzare il sogno di mio fratello, che già avrebbe voluto costruire un rifugio in questa zona e così abbiamo avviato i lavori. Donato poi al CAI di Bergamo, l’ho preso in gestione fin da subito (1985) e portato avanti fino ad ora. Siamo stati felici di riuscire a costruire il rifugio proprio in questa posizione, molto bella e panoramica, perché era già stata valutata ai tempi da mio fratello Nani come la migliore, non solo per la panoramicità ma anche per la presenza di sorgenti d’acqua nelle vicinanze. Posizionando qui la struttura abbiamo dato un seguito al suo sogno e rispettato la sua volontà.

Qual è la cosa più difficile e quella più bella del vivere e lavorare quassù?
Sicuramente la zona (il panorama è eccezionale!) è una cosa impagabile. Allo stesso tempo, però, quando c’è un problema (e ce ne sono sempre) la quota rende gli interventi difficoltosi.
Esempio: se un freezer ha un guasto, non puoi chiamare il tecnico che arriva in giornata, ma sei tu che devi diventare lo specialista capace di ripararlo e anche nel più breve tempo possibile. Ti devi reinventare a volte muratore, altre elettricista, altre ancora idraulico e tante altre cose a seconda delle necessità.

Come si è evoluto l’escursionismo nelle Orobie in questi 40 anni?
La gente che frequenta le nostre montagne sta crescendo di numero ma non sempre è un escursionismo consapevole. Se si decide di andare in montagna bisogna avere abbigliamento e calzature adeguate oltre al necessario allenamento. A volte mi rendo conto che non è così. A quelli meno esperti cerco di dare consigli.

Che consiglio daresti a chi sale qui per la prima volta?
Non è un percorso semplicissimo ed è anche mediamente lungo e impegnativo, ma il calore che si respira all’interno del rifugio è impagabile, l’atmosfera della montagna, il panorama e tutto ciò che si incontra sui nostri sentieri valgono sicuramente la fatica e le difficoltà che si possono incontrare lungo il percorso.

Cosa significa per te custodire un rifugio dedicato alla memoria di tuo fratello?
Per me e per la mia famiglia, che mi aiuta in questa avventura, è un onore lavorare nel rifugio dedicato a mio fratello morto in montagna. Il rifugio è la mia passione, la mia casa per ben 5 mesi all’anno, non cambierei per niente al mondo.

Qual è il piatto preferito dai tuoi ospiti?
Il piatto tipico del rifugio Tagliaferri, dove sono io il cuoco, è la “carne la Venà” (il nome deriva dal passo del Venano, appena sopra il rifugio): trattasi di fettine di lonza rosolate con erbe di montagna tra cui, timo selvatico e buonenrico (detto farinel o parüc), limone, aceto, aglio e prezzemolo; sempre accompagnato dalla nostra polenta di mais.

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