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Il Gran Sasso è un’altra cosa. Un nuovo libro spiega il perché (a chi ancora non lo sa)

Gran Sasso. Il gigante del Sud è la più recente opera di Stefano Ardito. Ricca di episodi poco noti, presenta gli uomini che proprio su questa montagna hanno scritto la storia dell’alpinismo. A partire da Francesco De Marchi, che nel 1573 raggiunse la vetta del Corno Grande

«Quand’io fui sopra la sommità, mirand’all’intorno, pareva che io fussi in aria, perché tutti gli altissimi Monti che gli sono appresso erano molto più bassi di questo. Così pigliai un Corno e cominciai à sonare, dove si vedde uscire fuori dalle vene di questo Monte assai Ucelli, cio è Aquile, Falconi, Sparvieri, Gavinelli, e Corvi». Non può che cominciare così, con la gloriosa giornata di Francesco De Marchi, il nuovo libro di Stefano Ardito dedicato alla montagna più alta dell’Appennino (Gran Sasso. Il gigante del Sud, Solferino). 

L’avventura dell’anziano (quasi 70enne!) ingegnere bolognese, specialista di architetture militari al servizio di Margherita d’Austria, ma con una strana e bruciante passione per le alte quote, segna due secoli prima della conquista del Monte Bianco la nascita dell’alpinismo, inteso come sport fine a sé stesso, slegato da attività scientifiche o topografiche: insomma, per definirlo con una parola novecentesca, puro leisure. 

De Marchi era un gran viaggiatore e un uomo d’azione. Come racconta Ardito, trentotto anni prima della sua salita al Gran Sasso “era partito per un’altra sorprendente avventura. Una mattina d’estate del 1535 si è immerso nelle acque del Lago di Nemi, tra i castagneti e le vigne dei Colli Albani. Si è fatto calare in una ‘campana’ di legno, per vedere da vicino le navi dell’imperatore Caligola, adagiate sul fondale a una dozzina di metri di profondità. L’immersione è durata un’ora e mezza, e si è svolta senza particolari problemi. L’unico vero disturbo per Francesco, seduto su una scomoda panca, è stato causato dai pesci, ‘che essendo io senza braghe m’andavano a piccare in quella parte che l’uomo può pensare’”.


La copertina del libro

Poi, ormai anziano, quell’ascensione in compagnia di locali cacciatori di camoccie, che in appena cinque ore e un quarto di fatica lo porta ai quasi tremila metri del Corno Grande, da dove basta uno sguardo per rendersi conto che nulla è più alto, né il Monte Cefalone, né il Monte Pizuito (il Pizzo d’Intermesoli), né l’altissimo Monte Camese (il Monte Camicia), che sorveglia la piana di Campo Imperatore. La sua gioia per la conquista, ad attestare la gratuità dell’ascensione, è quella di un bambino.

A differenza dei conquistatori del Monte Bianco, che da subito ebbero fama globale e ricchezza, a De Marchi non venne nulla dalla sua impresa del 1573. Anzi, fu dimenticato per secoli, e riscoperto casualmente solo a inizio Novecento, in una relazione manoscritta a margine del suo libro sull’architettura militare. 

Oggi però l’ingegnere bolognese è entrato di diritto nella galleria dei tanti “padri” dell’alpinismo, insieme al Petrarca del Mont Ventoux, ai Paccard, Balmat e De Saussure del Monte Bianco e persino ai Norgay e Hillary dell’Everest, tutti avventurieri in cerca di un feticcio inutile quanto sublime: quel panorama “che più in alto non si può”.

De Marchi, però, ha una marcia in più: la simpatia. Ed è giusto che a rendercelo così umano e “vicino a noi” sia uno scrittore che dell’Appennino abruzzese è stato il portabandiera, anche se poi ha dedicato la sua vita alle montagne del mondo (l’ultima fatica di Stefano Ardito, ricordiamo, è K2, la montagna del mito)

Dunque per l’amico Stefano questo libro sulla montagna del cuore ha il sapore di un ritorno a casa, perché, come dice nella prefazione, “il Gran Sasso è un’altra cosa”. In questo volume di oltre 300 pagine troverete tutte le ragioni di questa “unicità” del Gran Sasso. A partire dalla sua riscoperta dall’Illuminismo all’avvento del Cai, all’epoca del sesto grado inaugurata nel 1956 da alpinisti romani come Paolo Consiglio e Giancarlo Castelli, a tutte le avventure sul Paretone del Corno Grande che non ha nulla da invidiare alle più imponenti bastionate dolomitiche.


È una ricchissima storia alpinistica, quella ricordata da Ardito, che vede in azione i migliori nomi dell’arrampicata italiana, da Gigi Mario a Giampiero Di Federico, da Pierluigi Bini a Cristiano Delisi a cui il volume è dedicato, “colpevoli” solo di essere nati e cresciuti un po’ troppo a sud delle Alpi, ma non meno grandi di tanti “nordici”, a partire da Gervasutti, che pure su queste pareti si sono cimentati. 

Un libro per soli alpinisti? Il Gran Sasso è speciale anche perché, sotto le sue pareti, si aprono scrigni di storie preziose che rappresentano un tassello importante della più grande storia d’Italia: i pastori transumanti e i lupari, gli albori dello sci e la tragica storia di Mussolini prigioniero a Campo Imperatore, la nascita del parco e il tunnel degli scienziati… tutto questo e tanto altro viene sapientemente raccontato da Ardito. 

Il quale non di rado si rammarica che il Gran Sasso sia stato sempre un po’ trascurato. Sapendo, però, che quando su una montagna si accendono troppi riflettori (vedi l’Everest), scompaiono la magia e il mistero. E di magia e mistero, oggi più che mai, ne abbiamo bisogno.   

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