ArrampicataGente di montagna

La Sardegna, il Piemonte, la Scozia. A tu per tu con Maurizio Oviglia

Molti lo conoscono per “Pietra di Luna” e tante altre guide, altri per le sue vie spittate a Jerzu, Domusnovas e Baunei. L’ultimo amore dello scalatore piemontese trapiantato in Sardegna sono però le pareti e le scogliere della Gran Bretagna

Tremila vie nuove attrezzate e liberate (“in realtà ora sono un po’ di più”), decine di falesie scoperte e pubblicizzate in Sardegna, un numero imprecisato di spit piantati e di metri di arrampicata esplorati per il piacere di chi ama scalare. Vie nuove aperte sulle rocce della Turchia, del Messico, del Venezuela, della Giordania e del Marocco, ma anche sull’Aiguille Noire de Peutérey del Monte Bianco con compagni di cordata come Rolando Larcher ed Erik Švab.

E poi decine e decine di guide, dal bestseller Sardegna Pietra di Luna (cinque edizioni, tradotte in inglese, francese e tedesco) all’autorevole Sardegna per la Guida dei Monti d’Italia del CAI e del Touring Club Italiano, passando per pubblicazioni dedicate alla roccia della Corsica e soprattutto del Piemonte, dalla Valle dell’Orco fino all’Ossola.

Maurizio Oviglia, 61 anni, piemontese trapiantato da decenni in Sardegna, è uno dei nomi più noti del mondo dell’arrampicata italiana. Da tempo, oltre a scovare e ad attrezzare vie di roccia, lavora come scrittore (così lo definisce Wikipedia) e come editore. Da anni collabora con la Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo del CAI. Il suo primo film, Blu Trad, girato insieme alla figlia Sara, è stato proiettato ai festival di Trento e di Poprad, in Slovacchia. Da giovane, però, Maurizio ha lavorato in fabbrica. E il passato resta impresso in ognuno di noi.

Dove preferisci arrampicare in questa fase della tua vita? Sardegna, Corsica o Valle dell’Orco?

Al momento sono fermo ai box, o quasi, in attesa di risolvere un problema di salute. Sono in pochi a saperlo, ma negli ultimi anni mi sono appassionato all’arrampicata in Gran Bretagna, dalla Scozia fino al Peak District, al Galles e alla Cornovaglia.

Cosa ti attira su quelle rocce ventose e poco chiodate?

Ho due figlie che vivono nel Regno Unito, e questo rende più facile e piacevole tornarci. Anche se ho piantato migliaia di spit ho sempre amato l’arrampicata trad, protetta solo con dadi e friend, e lì ce n’è quanta se ne vuole.

Anche l’ambiente dell’arrampicata “UK Style” è speciale…

Certo! Ci sono il vento, l’atmosfera selvaggia, la necessità di far presto altrimenti chi ti assicura dal basso viene sommerso dalla marea che sale. I gabbiani se ti avvicini ai loro nidi ti attaccano. Due anni fa, con mia moglie Cecilia, abbiamo passato 25 giorni a scalare in quel modo, alla fine tornare al sole e agli spit della Sardegna è stato un sollievo.

Qualche luogo che ti ha emozionato particolarmente nel Regno Unito?

Gli “stac”, i torrioni di roccia che l’erosione ha staccato dalle scogliere, e che sono particolarmente esposti alle intemperie. Ho salito l’Old Man of Stoer, uno dei più famosi, è rimasto tra i desideri l’Old Man of Hoy, nelle Orcadi, reso celebre tanti anni fa da Chris Bonington e compagni. A causa dell’erba e della terra, la relazione dice che si può attaccare solo dopo tre giorni di sole. Non è facile che accada.

Chi legge le tue guide e ripete le tue vie può pensare che tu sia un privilegiato, sempre in falesia a scalare, in vista del Mediterraneo azzurro. Cosa fai per vivere Maurizio?

Soprattutto, da molti anni, faccio l’autore di guide e l’editore, e vendo i miei libri online su www.pietradiluna.com. Da quattro anni ho aperto la mia casa editrice, Maurizio Oviglia Editore, e sto cercando delle strade diverse. Il mio ultimo libro, Climbing Postcards, è un collage di racconti nati come post sui social.

Ma è vero che hai lavorato in fabbrica?

Sì, dai 16 anni, a Orbassano, nella cintura torinese. Mio padre è mancato quando ne avevo 14, dovevo aiutare mia madre e ho iniziato nella fabbrica di carta di mio zio. Facevo 20 chilometri in bici all’andata e al ritorno, con qualsiasi tempo. Dopo il militare, in cui ho scoperto la Sardegna, ho lavorato in una tipografia, ho il diploma di perito grafico. Infine, prima di dedicarmi solo alla roccia, ho fatto per anni il rappresentante.

Oggi però tu collabori anche con gli enti pubblici per attrezzare falesie nei loro territori, e poi per promuoverle.

E’ vero, ma purtroppo capita di rado. Ho collaborato a lungo con il Comune di Baunei, e poi con altre amministrazioni dell’Ogliastra. Credo che i risultati si vedano.

A proposito di risultati, tu promuovi da decenni l’arrampicata in decine di siti della Sardegna. In quali zone, secondo te, l’arrivo dei climber ha aiutato di più l’economia locale? Esiste una Finale o una Kalymnos sarda?

A Cala Gonone i benefici legati alla presenza degli arrampicatori si vedono da tanti anni, e molti esercizi che prima lavoravano solo in estate sono aperti anche a marzo e ad aprile. A Baunei succede lo stesso. Poi ci sono Jerzu e Ulassai, e lì mi sento un po’ a disagio.

Perché?

Ho iniziato a chiodare a Jerzu tanti anni fa, la zona ha avuto successo, e a Ulassai, che è vicinissima, si lamentavano che non lo facessi anche da loro. Ho aperto qualcosa anche lì, ma poi sono arrivati dei forestieri che hanno continuato ad attrezzare le vie e hanno aperto varie strutture ricettive. Niente da dire, ma mi sembra che la gente del posto non ne abbia beneficiato.

Tutto qui?

No, nel vecchio paese di Ulassai c’era una comunità unita dalla cultura. Era uno dei posti dove si poteva incontrare l’anima profonda della Sardegna. Ora non più.

Esistono ancora dei luoghi dov’è possibile scalare e trovare l’anima profonda dell’Isola?

Quanti ne vuoi, per esempio nella zona di Buggerru, nel Sulcis, o nella Barbagia. Oliena, dove pure si cammina, si arrampica e si va in grotta da 40 anni, è rimasta tradizionale e tranquilla.

Chi viene ad arrampicare oggi in Sardegna?

Le stagioni migliori sono sempre la primavera (che è l’altissima stagione) e l’autunno. Nei ponti di primavera c’è il pienone. Qualcuno in estate prova a fare una vacanza mare e roccia, magari con i bambini, ma il caldo la rende faticosa. E poi d’estate la Sardegna è cara. Oltre agli italiani vengono soprattutto francesi, spagnoli e tedeschi. Da qualche anno stanno aumentando gli americani.

E quali sono le zone di arrampicata preferite?

Una volta gli stessi arrampicatori facevano di tutto: monotiri, vie lunghe, boulder, e si spostavano sul territorio. Oggi c’è più specializzazione. Qualcuno (ma sono pochi) cerca le vie lunghe, molti fanno solo i monotiri, come nelle falesie spagnole o a Kalymnos. C’è chi resta per 10-15 giorni nello stesso posto.

Nel tuo curriculum ci sono anche una guida del Supramonte e un libro sul Gennargentu. Vai spesso a camminare sulle montagne dell’Isola?

Ti confesso di no. L’escursionismo non mi entusiasma, casomai preferisco farlo sulle Alpi o in Himalaya. Non ho nemmeno percorso per intero il Selvaggio Blu, che oggi è frequentatissimo. Però sì, camminare in Sardegna permette di ammirare dei grandi spazi.

L’altro tuo grande amore sono le Alpi piemontesi, dove hai scoperto la montagna…

E’ vero, sono luoghi che mi piacciono molto. Ho scritto una guida di arrampicate in Valle dell’Orco, a cui sono molto legato. Negli ultimi tempi vado spesso nelle Valli di Lanzo e in Val Maira. Luoghi splendidi!

Hai arrampicato in molti angoli della Terra, hai ancora dei desideri o dei progetti?

La vita è strana. Per tanto tempo ho sognato di andare a Yosemite e di salire El Capitan. Nel 2017, quando ormai mi ero rassegnato, è arrivata l’occasione e l’ho presa al volo. Da allora nel mio curriculum quella parete c’è.

Altri desideri?

Mi piacerebbe andare ad arrampicare in Patagonia. Ci sono stato anni fa, con una spedizione culturale sulle tracce di padre De Agostini. Molto interessante, ma non c’è stato tempo per scalare. Chissà se arriverà un’occasione per tornarci? Gli anni passano. Però mai dire mai.

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