In cordata

Bouldering e cappelli: le sorprese delle aree interne

L’imprenditore “malato” di boulder si inventa produttore di crash pad e porta sui blocchi di arenaria dei Sibillini alcuni dei più forti specialisti della disciplina. Che scoprono un paradiso sconosciuto

Continuiamo a ragionare sulle aree interne. Quelle che da cittadino dici: “Bello sì, ma io non ci vivrei mai”. Le mie ricerche online mi hanno portato alla scoperta di un posto davvero curioso: si chiama “distretto dei cappelli”, una manciata di paesini nella neonata provincia di Fermo, basse Marche.
La storia, cercando di farla breve, è la seguente: sui colli del Fermano si coltivava il grano, e poiché erano tempi in cui non si buttava via niente, anche gli scarti della mietitura, cioè i gambi delle spighe, trovavano una loro collocazione. I contadini di fine Ottocento vi intrecciavano i cappelli di paglia, e gli venivano talmente bene da diventare, per esempio, la divisa ufficiale dei gondolieri veneziani, e finire sulle teste di tutti i gigolò d’Europa. Da questa industria spontanea è nato il distretto, negli anni Sessanta del Novecento: comprende sette comuni (Montappone, Massa Fermana, Monte Vidon Corrado e Falerone, più altri tre in provincia di Ascoli Piceno, Mogliano, Loro Piceno e Sant’Angelo in Pontano) per un totale di poco più di 15.000 abitanti. Qui si produce l’80 per cento dei cappelli italiani, in una novantina di aziende a conduzione famigliare, a cui si aggiungono altre 40 aziende dell’indotto (tintorie, serigrafie, scatolifici ecc.). Il grosso della produzione (il 60 per cento) è concentrato però nei due comuni di Massa Fermana e Montappone, dove c’è anche un Museo del Cappello. I principali mercati stranieri sono il Giappone e gli Stati Uniti, che conoscono il nome di Montappone meglio della maggioranza di noi italiani.

Qui si trova una delle aziende più in vista: la Complit, che opera dal 1989 e produce una linea di cappelli pazzeschi, anche da cerimonia. Un luogo improbabile da accostare al mondo dell’arrampicata. Se non che, uno dei patron della Complit si chiama Mattia Antinori, e se andate a cercarlo in rete lo vedrete appeso a un masso, con i muscoli tesi in un passaggio di 8a (che nel bouldering è davvero tanto!). La “seconda” passione di Mattia l’ha condotto a fondare nel 2021 una piccola azienda, una sorta di spin off del cappellificio, che produce crash pad, quei materassi pieghevoli che vediamo sulle spalle dei boulderisti al posto degli zaini. 

I crash pad ormai li fanno tutti i grandi marchi, da Mammut a Ederlid a Black Diamond, in Italia sono prodotti da Camp e Grivel: è un mercato promettente, perché il boulder, soprattutto indoor, ha avuto una grande visibilità con le Olimpiadi e con la diffusione delle palestre di arrampicata cittadine. In un mercato già affollato si è dunque inserito il nuovo marchio Brazz, caratterizzato dal simpatico profilo di una pecora tondeggiante: materassi raffinati (e costosi) a doppio e triplo strato in vari materiali tecnologici, coloratissimi, allegri, che promettono l’incolumità in caso di caduta su sassi e radici. La piccola fabbrica artigianale si avvale del lavoro e della consulenza di diversi atleti di grande esperienza, come Matteo Arnodo, Giovanni Calisse, Patrizio Tarsetti, Raffaele Mattii che dicono di sé (cito dal sito) di essere “animati dall’incoscienza”. Cosa di cui personalmente dubito molto. Primo perché il team produce oggetti indispensabili per la sicurezza; secondo perché il modello aziendale è iper contemporaneo, così come la comunicazione affidata agli ambassador giusti e ai social. Tutto questo nel remoto “distretto del cappello”.

Altra cosa che mi sono chiesto è: da dove viene la passione del bouldering per un montapponese (si dice così?). Un’ulteriore ricerca in rete mi ha portato sui Monti Sibillini, poco a ovest dei paesi dei cappelli, e in particolare nel territorio del Montegallo. Qui, presso un piccolissimo borgo a quasi mille metri di quota dal curioso nome di Interprete, scopro che esiste una delle aree più belle per il bouldering su arenaria. Massi e falesie su cui hanno messo le mani climber come Christian Brenna, James Pearson e Mauro Calibani (campione mondiale di boulder nel 2001) che è originario proprio di Ascoli Piceno. 

I Monti Sibillini sono meravigliosi. La collina di Interprete e il Montegallo sono un gioiello nello scrigno del parco. Un paradiso naturalistico e sportivo che non conosce solo chi (come me) è accecato dal pregiudizio che per l’outdoor esistano solo le Alpi. La morale di questa storia, in definitiva, è questa: stiamo attenti a quando parliamo (superficialmente) di aree interne. Potremmo avere delle sorprese. 

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