News

Autunno, tempo di caccia. E di riflessioni

Gli spari rimbombano nelle vallate, la caccia è aperta. E accanto alle pallottole volano i pensieri. Senza demonizzazioni preconcette, ma con tanti però

A ritmo quasi regolare il rumore degli spari rimbomba dai contrapposti versanti.

Sarà una suggestione, ma da qualche tempo i consueti incontri con gli ungulati si sono rarefatti. Pare siano più schivi, a tutte le quote, nonostante non dispongano del calendario venatorio.

Parlare di caccia è terreno minato. 

Vero è che l’incontro del cervo con la pallottola è certamente meno brutale di quel che accade, lontano dai nostri occhi, in tutti gli allevamenti intensivi.

Sulle nostre tavole la bistecca è bella e pronta e non racconta gli orrori e gli impatti degli allevamenti industriali.

Se fosse ipoteticamente possibile un approvvigionamento diretto e misurato di cibo, per consumare esclusivamente i propri carnieri, forse la caccia avrebbe ancora un significato e un’impronta ecologica minore degli allevamenti.

Ma siamo in troppi e, soprattutto, il concetto di “misura” pare essere svanito dai comportamenti di tanti cacciatori in circolazione, dissolto assieme all’antica caccia “etica”, ovvero la tradizionale attività di auto-sostentamento naturale.

D’inverno, fuori pista, quando scivoliamo vicino alla cavità nella neve dove si nasconde il gallo forcello, costringendolo al volo, mentre è nel suo periodo di massimo riposo e immobilità, per conservare energie indispensabili a reperire il poco cibo disponibile, minacciamo la sua sopravvivenza.

Eppure queste misteriose specie, inclusa la pernice bianca, considerate relitti glaciali in continuo declino per via di tanti fattori, climatici ed ambientali concomitanti, sono ancora liberamente cacciati.

La cosiddetta caccia sportiva pare aver definitivamente soppiantato quei vecchi cacciatori barbuti, dediti a un rituale, più che a una mera predazione. Dove, alla fine, premere il grilletto diventava persino superfluo.

Oggi quando incontro i cacciatori non posso fare a meno d’osservare le ottiche da cecchino montate sull’arma, in grado di colpire un camoscio a svariate centinaia di metri di distanza. Senza contare i cani con GPS di tracciamento, i mezzi fuoristrada che si spingono più in alto possibile e l’uso seriale dell’elicottero per il recupero dei corpi dei grandi mammiferi.

Se ancora esistono cacciatori legati alla tradizione, che rivendicano d’essere guardiani della natura, come possono accettare la dismisura di una tal “potenza di fuoco”?

Sempre che l’eccesso di calibri, canocchiali, visori, mezzi e accessori, non nasconda problemi di maschile autostima.

 “Raggiungemmo la vecchia lupa appena in tempo per osservare un feroce fuoco verde spegnersi nei suoi occhi. Mi resi conto allora che in quegli occhi c’era per me qualcosa di nuovo, qualcosa che solo il lupo e la montagna conoscevano. A quel tempo ero giovane, e sempre ansioso di sparare; pensavo che meno lupi significasse più cervi, e che nessun lupo equivalesse al paradiso dei cacciatori. Ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde intuii che né il lupo, né la montagna, erano d’accordo con una tale visione. (…)”

Aldo Leopold, A Sand County Almanac 1949

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close