Orsi, marmotte e compagni: come gli animali selvatici affrontano l’inverno
Letargo, ibernazione, latenza: quando la vita si arresta. Le scelte non sempre facili di alcuni abitanti delle montagne per sopravvivere alla stagione fredda
Con l’arrivo dell’inverno, numerosi animali selvatici sono costretti a cambiare le loro abitudini per fronteggiare il freddo e la scarsità di cibo. I primi a dover correre ai ripari sono gli abitanti degli ambienti montani dato che, in quota, già in autunno le temperature si avvicinano allo zero e (almeno in teoria) comincia a scendere la neve. Ecco allora che alcuni animali, per evitare freddo e scarsità di cibo, cercano un nascondiglio sicuro e ben riparato in cui rifugiarsi e avviano una serie di processi fisiologici per risparmiare energia. Il letargo, l’ibernazione e le altre forme di quiescenza temporanea non hanno molto a che vedere con il “sonno”, ma sono piuttosto delle strategie adattative che comportano il rallentamento delle funzioni vitali e uno stato di torpore in cui la temperatura corporea scende, il battito cardiaco rallenta e il metabolismo si abbassa. La durata, variabile in relazione alle specie e al luogo di vita, è oggi influenzata anche dai cambiamenti climatici.
Il letargo della marmotta
La marmotta trascorre circa metà dell’anno – sulle Alpi da inizio ottobre ad aprile – all’interno di una tana, abbassando il proprio metabolismo fino a sfiorare la morte. Il suo letargo è caratterizzato da lunghe fasi di ipotermia in cui la temperatura corporea scende fino a 5°C (rispetto ai 38-40°C dei periodi di attività), i battiti del cuore rallentano fino a meno di 15 al minuto (rispetto ai 180 estivi) e la frequenza respiratoria diminuisce da 40 a circa 5 respiri al minuto. La sopravvivenza è legata all’energia immagazzinata sotto forma di grasso nei mesi precedenti (che può raggiungere un terzo della massa corporea individuale), al tipo di rifugio (una camera sotterranea, scavata a qualche metro di profondità nel terreno e foderata con erba secca e altri vegetali) e alla presenza di conspecifici: maggiore è la dimensione della famiglia in letargo, minori le probabilità di morire per assideramento durante l’inverno.
L’ibernazione dell’orso
Le prime a sparire sono le femmine in attesa dei cuccioli: di norma ben prima della fine dell’autunno sono già all’interno della tana in attesa di partorire, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, i loro piccoli. Anche gli altri esemplari, maschi e femmine non gravide, si preparano però con largo anticipo: già in agosto iniziano la ricerca del luogo adatto a trascorrere l’inverno, che di norma è una caverna composta da una entrata di piccole dimensioni e la camera di svernamento vera e propria, caratterizzata da un giaciglio composto da foglie secche e arbusti. Quello dell’orso, tuttavia, è scientificamente noto come “semi-letargo” o ibernazione dato che l’abbassamento delle funzioni metaboliche è minore rispetto per esempio a quello della marmotta o del ghiro: la temperatura corporea scende infatti “solamente” di 4 o 5 gradi rispetto ai valori normali e anche l’abbassamento del ritmo cardiaco e respiratorio è meno marcato. Inoltre, la durata del periodo trascorso in tana è variabile e capita addirittura che qualche esemplare rimanga attivo per tutto l’inverno dato che l’ibernazione è una condizione fisica che può cambiare in risposta a stimoli esterni (disturbo, cambio delle condizioni climatiche, ecc.). Tutto ciò al netto di quelle che sono e saranno le risposte fisiologiche e comportamentali al riscaldamento climatico, che capiremo meglio solo tra qualche decennio.
La latenza invernale di rane e serpenti
Lasciando da parte i mammiferi (che annoverano altre incredibili strategie per superare l’inverno, come nel caso dei pipistrelli che lo trascorrono in colonie numerosissime), anfibi e rettili sono animali a “sangue freddo”, o ectotermi: la loro temperatura corporea non è fissa come la nostra, ma dipende cioè da fattori esterni. Molte rane e serpenti dei nostri boschi, per esempio, non riescono a rimanere attivi quando la temperatura scende sotto i 10-15°C e sono costretti a cercare riparo, solitamente in piccoli buchi del terreno, tra la vegetazione o nelle fessure delle rocce (alcune specie di anfibi trascorrono il periodo freddo in acqua, nascoste nella melma del fondo dei laghetti e degli stagni), dove riescono a resistere al gelo arrotolati su se stessi, rallentando drasticamente i processi metabolici e smettendo di nutrirsi. Uno stato che viene definito “vita latente” e che dura fino all’arrivo di una nuova primavera.