Stefano Ragazzo: a tu per tu con l’autore della clamorosa salita in solitaria di Eternal Flames

Dopo l’impresa sulle Trango Towers è diventato lo scalatore più ricercato. Il racconto di un innamorato della montagna che per inseguire i suoi sogni ha perfino dormito due anni in un furgone

La salita in solitaria di Eternal Flame, sulle Trango Towers, ha catapultato in prima pagina il trentatreenne padovano ma ormai cittadino di Chamonix. Passato il tempo dei festeggiamenti, abbiamo voluto incontrarlo per conoscerlo più a fondo. Ne è uscita una lunga intervista, davvero ricca di motivi di interesse. Preziosa per conoscere uno dei più forti scalatori del momento, ma anche per chi ha intenzione di dedicare la sua vita all’arrampicata.

Scopri la montagna abbastanza tardi
Sì, nella mia famiglia non si era mai parlato di montagna. Con i miei andavamo in vacanza al mare. Poi, intorno ai vent’anni, la scoperta. Mi ero appena inserito nel mondo del lavoro, iniziavo ad essere autonomo e soprattutto a pormi parecchie domande. Più passava il tempo e più capivo di non voler rimanere tutto il giorno a una scrivania. Ho capito che in mezzo alla natura stavo molto meglio. Ho iniziato con semplici passeggiate, poi corse, vie ferrate e infine la scalata. È stata una rivelazione, ho iniziato ad arrampicare tutti i giorni. 

Dopo pochissimo scali già vie come il Diedro Casarotto o il Pesce. Avevi fame!
Avevo molta fame di avventura! Fin da subito ho capito che per me l’arrampicata non doveva essere fine a sé stessa ma doveva portarmi a fare grandi vie in montagna. Mi allenavo in falesia con l’unico scopo di prepararmi a lunghi vioni. Ho iniziato a spostare sempre un po’ di più l’asticella. Certo, avevo l’incoscienza di un ventenne, ma dall’altra sapevo di avere le carte in regola. Ogni volta che tornavo da una via, pensavo a cosa avrei potuto fare di più impegnativo la volta dopo. 

Finché lasci il lavoro da impiegato e ti alleni per le selezioni da Guida alpina.
Non è stata una scelta facile. Quando ho detto alla mia famiglia che volevo fare la Guida, mi hanno risposto “e cos’è?”. Me ne sono andato via di casa sbattendo la porta e non ho più parlato con mia madre per qualche anno. Intanto mi sono licenziato, ho passato le selezioni e sono partito in spedizione in Patagonia. Avevo pochissimi soldi da parte (il corso guide costa parecchio!) e così per due anni ho vissuto in furgone. Di giorno mi allenavo e la sera facevo il cameriere. 

Ora, per fortuna, ho ripristinato il rapporto con i miei genitori. Da quando lavoro come Guida anche loro hanno capito meglio la mia vocazione. 

Tutte queste scelte le hai condivise con Silvia Loreggian, tua compagna oltre che fortissima scalatrice.
Ci siamo conosciuti arrampicando e c’è stata subito intesa. Dopo un paio di mesi che ci conoscevamo le ho proposto di andare in spedizione insieme in Patagonia. Saremmo rimasti tre mesi insieme, solo noi due. Insomma, o la va o la spacca! È stata solo la prima di tante spedizioni insieme. Ci troviamo benissimo a scalare insieme, ci completiamo. Nei miei progetti, lei è la mia compagna di cordata nel 90% dei casi. 

Tuttavia, ami anche molto le solitarie.
La solitaria mi da la possibilità di confrontarmi solo con me stesso. In due si dividono paura, fatica, difficoltà. Da solo, invece, non hai scorciatoie. Tutto ciò che accade è solo merito o colpa tua. E poi, negli anni, ho sempre avuto la necessità di sottopormi a una sorta di auto esame per capire fino a dove posso spingermi, fino a dove posso arrivare. La solitaria è il modo migliore per conoscere davvero i propri limiti e avere man mano delle conferme mi ha sempre aiutato. Detto ciò, una solitaria è un progetto così intenso a livello mentale che me ne basta una all’anno! 

Quest’anno sei già a due: il Nose al Cap e l’incredibile solitaria su Eternal Flame
Eternal Flame è stata una salita davvero intensa, con una componente mentale fondamentale. Ci sono momenti in cui l’aspetto tecnico è il 50% e quello mentale l’altro 50. Altri in cui l’aspetto mentale è il 70%, altri in cui è l’unico aspetto che conta. Bisogna essere molto bravi a non perdere il proprio focus, un po’ come un cavallo con il paraocchi che guarda solo in avanti. Ciò che mi ha veramente aiutato ad affrontare questa parete è stata gestirla un pezzo per volta, concentrandomi sempre sui dieci metri davanti a me. Vivevo abbastanza al momento ma sempre con una buona valutazione dell’insieme. Mi ha aiutato a prendere delle decisioni su ciò che stava accadendo. 

Che ruolo ha avuto la paura in questa salita?
Durante la salita non ho mai avuto la sensazione di aver paura. Ero troppo concentrato su quel che stavo facendo per avere paura. Dopo essere partito sono arrivato al terzo giorno in parete che ero ancora fermo al decimo tiro e già a metà delle riserve di cibo. In quel momento ho realizzato di essere totalmente disposto a soffrire la fame, la sete, il brutto tempo. Da quel momento in poi non ho più avuto esitazioni, ho razionato cibo e acqua e sono partito super concentrato e determinato. L’ultimo giorno mi sono svegliato alle cinque. Le previsioni meteo davano perturbazioni in arrivo ma in quel momento c’era un’alba bellissima. Ho mangiato l’ultima razione di cibo rimasta e sono andato in cima. Ecco quello, forse, è stato l’unico vero momento di paura. È come se improvvisamente mi sia reso conto di dov’ero! Ho anche pianto un po’, avevo paura della discesa e di incastrare le doppie. Da solo è un vero casino risalire una corda incastrata! 

Dopo questa impresa hai colto l’occasione per lanciare una frecciata allo sponsor che ti aveva appena scaricato.
Volevo togliermi un sassolino dalla scarpa. Mi avevano silurato in malo modo con una mail dicendo che non ero abbastanza attivo sui social. Ormai molti brand outdoor prediligono la visibilità social al talento alpinistico. E per noi sportivi diventa difficile capire fino a che punto si è disponibili a svendersi. Ora, non c’è nulla di male nel raccontare le proprie avventure. Anche Bonatti si era portato la macchina fotografica sul Gasherbrum IV. E io sono stato ripreso da un drone su Eternal Flame. È giusto raccontare cosa si fa ma l’importante è il come e i valori che ci sono dietro. Mi sembra che alcuni brand si siano completamente dimenticati di essere stati fondati da persone che scalavano, ora pensano solo a vestire i ragazzini in centro a Milano. 

A proposito, da qualche anno hai lasciato l’Italia e vivi a Chamonix.
Quando nel 2016 Silvia ed io siamo tornati dalla nostra prima spedizione, ci siamo ritrovati a casa nostra a Padova. C’era solo nebbia e ci sembrava che quel luogo non potesse offrirci ciò che volevamo. A Chamonix, intanto c’è il massiccio del Bianco che è un terreno di gioco fantastico, e poi c’è un enorme comunità di alpinisti. Tutte le persone che sono a Chamonix, sono lì per lo stesso motivo: andare in montagna. Qui ci sentiamo proprio al posto giusto. 

Prossimi progetti?
A fine mese Silvia ed io partiremo per lo Yosemite. L’idea è quella di andare sul Cap e provare a liberare una via. In inverno Silvia andrà in Patagonia a fare da tutor all’Eagle Team e sto valutando di scendere anche io e combinare qualcosa da quelle parti. E poi beh, dovrò anche lavorare un po’ come Guida. Le spedizioni costano! 

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