Catenelle o percezione? In montagna la sola attrezzatura corretta può anche non bastare
Con l’arrivo delle prime gelate e nevicate in quota ritornano le raccomandazioni all’impiego della migliore attrezzatura per proteggersi. Tutto giusto, ma serve di più
L’osservatorio nazionale incidenti in montagna del Cai, ad esempio, avverte di non utilizzare “catenelle” o “ramponcini” su terreni innevati ripidi. E’ bene ricordare che questi attrezzi in fondo servono solo dove non servono, nel senso che agevolano il cammino su tratti scivolosi di modesta inclinazione e difficoltà, affrontabili con cautela anche senza, ma sono inadatti su terreni ripidi e ghiacciati.
Le “catenelle” sono buone per muoversi sulle strade ghiacciate dei paesi di montagna o per passeggiate da diporto, ma nulla di più…
Ricordare ai frequentatori delle cime, in particolare ai neofiti, il “corretto” approccio, oltre a comunicare le dotazioni migliori indispensabili per salire le montagne è certamente buona cosa.
Costantemente si rivolge l’attenzione alla ricerca di risorse esterne, di materiali, di procedure o “regole” da adottare.
Quasi mai si fa riferimento alla percezione dell’intorno, quel meccanismo innato che mette in rapporto immediato la coscienza con l’ambiente che ci circonda, precedendo ogni forma di oggettivazione.
Si tratta di un orizzonte immenso dove il mezzo che consente di rapportarsi all’istante con la realtà è rappresentato dal nostro corpo, che diventa il cuore pulsante della percezione del mondo, in grado di dare un senso immediato alle cose.
Senza la conoscenza fulminea di quel che accade è assai difficile adottare strumenti idonei e orientare la tecnica per salire verso l’altro ed è più probabile infilarsi nei guai, a prescindere dallo zaino più o meno grande di arnesi che ci portiamo appresso.
Percepire l’intorno, non è il prodotto della somma di elementi isolati, ad esempio la temperatura e la pendenza, altrimenti diverrebbe una somma analitica di fattori, assai diversa dall’azione spontanea che permette, attraverso il nostro corpo, di far luce sulla totalità di fattori che ci circondano, in grado di “sentire” “tutto” quel che ruota attorno a noi, dove il “tutto” è più della somma delle singole parti.
Quando procedo in salita verso una cornice di neve aggettante, percepisco non solo il lato che mi sta sopra la testa, ma anche quello che non riesco a vedere da quest’angolatura.
La percezione sta alla base dell’alpinismo, siccome io posso avere esperienza solo di una parte di qualcosa, la percezione è la mia apertura, attraverso il mio limitato punto di vista, al tutto quello vado incontrando.
Da qui nascono l’intuizione migliore o la sciagura, qui si colloca l’ambivalenza della nostra percezione, che non è permanente, ma va costantemente ripensata, interrogata e messa in discussione.
Come promuovere ed allenare la percezione? Non ci sono regole, ognuno ha, per vissuto e storia personale, le proprie sensibilità, più o meno spiccate, che si possono migliorare.
Ad esempio scegliere un piccolo spazio della montagna e tornarci in ogni stagione, al sorgere del sole, di giorno, al tramonto e di notte, in solitaria o con gli amici, per favorire una moltitudine di contatti con gli elementi naturali attraversati. L’orizzonte limitato da esplorare non costituisce un limite, ma un’apertura per percepire (e conoscere) in profondità più che in ampiezza.