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Pakistan, oltre al terremoto la neve

12 ottobre 2005– Askole (Pakistan) DAL NOSTRO INVIATO – Un fruscio sulla tenda mi conferma i timori di ieri: sul Pakistan in ginocchio per il terremoto, e sulla nostra piccola spedizione scientifica ai piedi del ghiacciaio del Baltoro, è arrivata la neve.

 

baltoroIntorno a noi il terreno è brullo e tiepido e riesce ancora a fonderla. Mentre il ghiacciaio si imbianca sempre di più. Nella tenda cucina, satura di fumo di kerosene, una radio made in China sibila voci concitate di giornalisti. Ogni tanto fanno parlare un bambino. Non capisco quello che dice. Ma si sente che è stato troppo, quello che ha visto.

 

Ben coperto da una giacca a vento mi allontano dai pestilenziali fornelli, lasciando il posto al personale che si frega le mani, scaldandosi davanti al fuoco. Di muoversi da lì non ne vogliono proprio sapere. Difficile biasimarli: con le loro scarpe da ginnastica cinesi non salirei su un prato bagnato. 

 

Se li guardi capisci che la loro casa probabilmente non c’è più. Capisci come ai colpiti dal sisma manchino le cose più elementari, ora che le case sono crollate. Nelle zone più vicine a noi, risparmiate dall’onda di terremoto grazie alla barriera montuosa, non sono state le scosse a fare i danni, ma i massi caduti dai ripidi pendii.

 

E’ un territorio aspro questo. E la popolazione ne è il prodotto, così come il loro credo, sempre più radicato con il salire delle valli.

 

Tra queste montagne non esiste altra possibilità di sopravvivenza se non tra le poche oasi naturali e artificiali create dall’acqua. Era già difficile viverci anche senza terremoto.

 

In questo posto, termina la valle arida decisa delle anse del fiume, per iniziare quella scavata dalla potenza del ghiacciaio del Baltoro.

 

Askar è il capovillaggio di Askole, l’ultimo centro abitato della valle, dove siamo rimasti per tre giorni. Mi indica un muro in cima al pendio, sopra il villaggio, e spiega: "Quella è la nostra cisterna d’acqua. D’inverno basta appena per bere e lavarsi. Sempre che, Insha Allah, nevichi almeno un poco". Ma visti i visi dei bambini temo che per il secondo scopo ne resti veramente poca.

 

Chi può se ne sta andando, mi dice Rabani, la mia guida, con l’orecchio incollato alla radiolina: ma dove? E come?

 

Così in questa mattina dai toni bianchi e grigi, siamo qui. a tremila e trecento metri d’altezza, a condividere la sorte di migliaia e migliaia di altri pakistani. E a sperare che l’inverno voglia aspettare ancora un po’.

 

Giampietro Verza

 

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