Itinerari

Foliage nella Foresta di Tarvisio, lo spettacolo sta per iniziare. Quattro idee per ammirarlo da vicino

L’inizio dell’autunno è il periodo ideale per camminare nella Foresta di Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia, ai piedi delle vette delle Alpi Carniche e Giulie. Le nostre istruzioni per l’uso.

Quando l’estate lascia lo spazio all’autunno, sulle pietraie delle Alpi Giulie, dal Poviz fino al Monte Canin, compaiono delle pennellate di rosso. E’ lo scotano (ma i triestini lo chiamano sommacco), un piccolo albero resistente al gelo e al vento, le cui foglie sono state usate per secoli per realizzare tinture. Lo stesso colore, qualche settimana più tardi, colora le aspre lande calcaree del Carso. 

Molte altre cose, da tempo, uniscono il Tarvisiano e le Alpi Giulie al ventoso altopiano alle porte di Gorizia e Trieste. La storia dell’alpinismo, perché le vette più selvagge del Friuli, e che proseguono a est in territorio sloveno, sono state esplorate e descritte da straordinari uomini di montagna come Emilio Comici e Julius Kugy. La vicinanza geografica, perché nelle terse giornate d’inverno, quando la tramontana spazza il cielo, dalle Rive di Trieste si vedono le cime innevate che chiudono il paesaggio verso nord, oltre la pianura friulana e il lembo più settentrionale dell’Adriatico. 

Poco più a valle del rosso dello scotano/sommacco, in autunno, la Foresta di Tarvisio offre un caleidoscopio di giallo, rosso e oro. Non ovunque, perché gli abeti, qui in maggioranza, occupano buona parte del terreno. Dove compaiono larici e faggi, però, i colori dell’autunno offrono suggestioni diverse – e in qualche caso superiori – a quelle dell’estate. 

Non tutti ricordano che nel 1991, quando il Parlamento italiano ha varato la legge-quadro sui Parchi, nell’elenco delle aree da tutelare c’era anche la Foresta di Tarvisio, tra le Alpi Carniche e Giulie. Dall’altra parte della frontiera con la Jugoslavia (oggi Slovenia) esisteva già il Parco nazionale del Triglav. 

Poi la politica ha fatto delle scelte diverse, il Parco nazionale del Tarvisiano non è nato, e lo Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia hanno protetto al suo interno le piccole Riserve dei Laghi di Fusine, del Rio Bianco e di Cucco. il massiccio del Canin, dal 1996, fa parte del Parco regionale delle Prealpi Giulie. Da qualche anno, però, si è iniziato a ricordare che l’intera Foresta di Tarvisio è tutelata da più di mille anni. 

E’ stato un imperatore medievale tedesco, Enrico II il Santo, a donare nel novembre del 1007 la Foresta di Tarvisio al Vescovado di Bamberga, dando il via a un millennio di buona gestione forestale. Sette secoli dopo, nel 1759, il comprensorio passò a Maria Teresa, imperatrice d’Austria, che non impose cambiamenti di rilievo. Documenti e piani di sfruttamento forestale di quegli anni sono ancora conservati negli archivi di Tarvisio. 

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, con la fine dell’Impero d’Austria-Ungheria, la Foresta di Tarvisio è passata allo Stato italiano. Con i Patti Lateranensi del 1929, insieme ad altri patrimoni analoghi, è stata affidata al Fondo per gli Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, che li ha amministrati prima attraverso il Corpo Forestale dello Stato, e oggi con i Carabinieri Forestali.   

La buona gestione dei boschi si riflette nella ricchezza della fauna. In autunno gli escursionisti si accorgono soprattutto della presenza dei cervi, i cui bramiti echeggiano nelle valli. In estate chi sale verso le vette avvista facilmente stambecchi e camosci, mentre sono rari gli incontri con l’orso e il lupo. In cielo, oltre all’aquila reale, compaiono il gufo reale e il gipeto. Al limite superiore della Foresta, tra larici, pini mughi e rododendri, si possono vedere il gallo cedrone e il gallo forcello.  

In estate, molti escursionisti salgono verso le cime del Mangart, dello Jôf di Montasio, della Cima di Terrarossa e del Canin. In autunno, quando i rifugi chiudono e la neve inizia a imbiancare le alte quote, vale la pena di restare all’interno dei boschi. Ecco qualche suggerimento per farlo in sicurezza e con piacere. 

Dai laghi di Fusine al rifugio Zacchi e all’Alpe Vecchia

(450 m di dislivello, 3 ore a/r, E)

Un classico anello nel cuore della Foresta in vista delle pareti del Mangart, della Veunza e del Piccolo Mangart di Coritenza. Si parte dal lago superiore (941 m), si sale per una bella mulattiera al rifugio (1380 m), poi si continua a mezza costa verso la meravigliosa conca dell’Alpe Vecchia, ai piedi delle pareti. Da un bivio si torna in breve alla base. 

Il Vallone e la Carnizza di Riofreddo

(660 m di dislivello, 4.30 ore a/r, E)

La salita in uno dei valloni più suggestivi delle Alpi Giulie, ai piedi di magnifiche cime, fino al bivacco Carnizza di Riofreddo, del CAI di Tarvisio. Dalle case di Riofreddo (814 m) si segue la strada sterrata che risale il vallone fino a una piana erbosa dove sono un rifugio chiuso a chiave e una fonte. Si continua sulla sterrata che inizia a salire, poi un sentiero porta a sinistra verso il bivacco (1457 m). Si torna per lo stesso itinerario. 

La mulattiera del Poviz

(800 m di dislivello, 4 ore a/r, E)

Un percorso magnifico, che sale ai deserti di pietra del Canin per una spettacolare mulattiera della Grande Guerra. Da Sella Nevea (1134 m) si sale per una vecchia pista da sci, si raggiunge la mulattiera storica e la si segue tra faggi e abeti, superando tratti selciati e una ripida rampa. Si continua tra i larici, con qualche passo esposto, fino allle caserme abbandonate del Poviz. Usciti dal bosco in una zona dove abbonda il sommacco, si raggiunge una sella (1934 m) da cui appaiono lo Jôf Fuart e il Monte Robon. Discesa per lo stesso itinerario. 

In Val Bartolo

(200 m di dislivello, 2 ore a/r, T)

La Val Bartolo, circondata da fitti boschi, è stata utilizzata per secoli per spostarsi dal Tarvisiano alla Carinzia. La passeggiata si trasforma d’inverno in una comoda escursione con le ciaspole. Da Camporosso in Valcanale si seguono le indicazioni per la Val Bartolo, dove si posteggia accanto al divieto di transito (950 m) o alla Baita Beatrice (1042 m). Si continua sulla strada, asfaltata e poi sterrata, traversando i prati dominati dal Monte Acomizza, dove sono varie baite e la cappella di Sant’Antonio Abate. Una salita porta alla Sella di Bartolo (1175 m), dov’è una casermetta in abbandono. Si torna per la stessa via. 

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