Frutti selvatici delle Dolomiti: come riconoscere quelli velenosi
La maggior parte dei frutti velenosi ha un cattivo sapore, quindi è difficile ingerirne quantità che possano creare seri danni. Meglio evitare, però. Ecco come distinguerli
Autunno. Tempo di funghi ma anche di frutti di bosco. Ce ne sono molte specie, alcune conosciutissime, come le fragole, i lamponi, i mirtilli. Altre meno, altre ben poco note.
Quello che è importante è saperle riconoscere se viene voglia di allungare la mano per assaggiarle. E il rischio possono correrlo soprattutto i bambini piccoli se non attentamente sorvegliati. Diciamo però subito che l’avvelenamento da frutti selvatici è un evento molto raro. Per lo più le specie tossiche e velenose hanno sapori acri, sgradevoli, amari e questo è un buon motivo per sputare subito quello che si è messo eventualmente in bocca.
Però una domanda sono in molti che se la pongono di fronte a piante erbacee o ad arbusti grondanti di bacche, rosse o nere che siano, spesso lucide e di un bell’aspetto che arricchiscono con i loro colori la piacevolezza di una passeggiata nel bosco: sarà velenosa? Una domanda che non presuppone necessariamente l’intenzione di ingerirle, ma che stimola la curiosità, come accade quando c’è di mezzo un “frutto proibito”.
Poi ci sono anche frutti selvatici molto simili tra loro e facilmente confondibili, come è il caso dei mirtilli che hanno il loro “sosia” per cui ci si può sbagliare: l’ingestione accidentale di quelli simili può generare la preoccupazione di aver ingoiato un frutto tossico mentre invece non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Qui abbiamo messo a confronto alcune specie che crescono delle Dolomiti (pubblicando anche le immagini) che appunto possono essere confuse con altre, siano esse innocue o velenose. Abbiamo poi scelto anche altre specie che è bene limitarsi ad osservare perché decisamente più pericolose.
Mirtillo rosso e uva orsina
Una classica possibilità di confusione è quella tra il mirtillo rosso e l’uva orsina. Appartengono entrambe alla famiglia delle Ericacee ed hanno veramente un aspetto simile. Il primo ( Vaccinium vitis-idaea), conosciutissimo e utilizzato anche per confezionare marmellate, gelatine, salse, è molto frequente nei boschi radi e sui pendii soleggiati fino a oltre 2000 m di altitudine. Ma se assaggiato fresco ha un sapore, per quanto non sgradevole, piuttosto acidulo. L’uva orsina (Arctostaphylos uva-ursi) cresce anch’essa al margine dei boschi, su pendii assolati e sassosi frammista ad altre eriche. Le foglie sono prive delle punteggiature scure che invece sono presenti sulla pagina inferiore del mirtillo rosso. I suoi frutti rossi assomigliano notevolmente a quelli del mirtillo rosso, sono tuttavia farinosi al limite dello sgradevole ma innocui e una loro eventuale ingestione non deve assolutamente preoccupare.
Mirtillo nero e mirtillo di palude
Altro caso di notevolissima similitudine è quello tra il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) e il mirtillo di palude (Vaccinium uliginosum). Il primo è conosciutissimo e tutti i frequentatori dei boschi di abeti e dei pascoli non troppo soleggiati hanno allungato la mano per assaggiarlo e gustare il suo sapore molto gradevole e non acido. Il secondo cresce nei boschi umidi, su terreni torbosi, in luoghi erbosi e umidi e le sue bacche hanno un sapore dolciastro ma sono meno saporite di quelle del mirtillo nero. Diciamo subito che sono commestibili anche queste ultime, quindi niente paura. C’è però un’altra caratteristica che permette di distinguerle nettamente ed è il solco che presenta il frutto residuo del calice: circolare nel mirtillo nero, pentagonale nel mirtillo di palude.
Ginepro comune e ginepro sabino
Il ginepro comune ( Juniperus comunis) è una specie molto conosciuta che sui pendii sassosi di montagna si presenta come un cespuglio di dimensioni ridotte aderente al terreno. I frutti, che maturano in due anni, hanno forma di bacche carnose (galbule) rotondeggianti. La polpa è rossastra di sapore dapprima dolciastro poi amarognolo e spiccatamente aromatico. Sono commestibili tant’è che trovano ampio impiego sia in campo gastronomico che farmacologico oltre che per la produzione del “Gin”.
Il ginepro sabino (Juniperus sabina) è invece una specie molto velenosa, come del resto tutta la pianta. Una eventuale ingestione dei suoi frutti comporterebbe disturbi gravissimi. Sono simili a bacche ma piuttosto irregolari, di color nero bluastro con una patina bianca. La differenza che più rende riconoscibili le due specie sono le foglie: aghiformi e molto pungenti nel ginepro comune, squamiformi è strettamente appressate al ramo nel ginepro sabino.
I caprifogli
Sono piante arbustive dai frutti bellissimi e invitanti ma tutte le specie sono tossiche e la loro ingestione è causa di avvelenamenti anche gravi. Il caprifoglio delle Alpi (Lonicera alpigena) presenta bacche lucenti di un colore rosso brillante. I frutti sono costituiti da due bacche fuse lunghe il doppio della larghezza, simili a piccole ciliegie. Il sapore è amaro e molto sgradevole. Il caprifoglio peloso (Lonicera xylosteum), che presenta la corteccia ricoperta da una fine peluria, ha invece bacche sferiche disposte a coppie ma non saldate tra loro, tra le più belle che si possano incontrare nel bosco, ma di un sapore sgradevole. Il caprifoglio turchino (Lonicera coerulea) presenta bacche di forma più o meno allungata di colore blu-nero ricoperte da uno strato pruinoso. Contengono un succo amaro di colore rosso vino. Il caprifoglio nero (Lonicera nigra) ha invece frutti di colore nero opaco formati da due bacche non fuse ma solo unite alla base con un peduncolo in comune, di sapore amaro e, come le altre specie, tossiche.
Altre specie molto velenose
Le drupe del mezereo (Daphne mezereum), chiamato anche fior di stecco visto che i suoi fiori rosa e fortemente profumati, che appaiono prima delle foglie, danno l’impressione di aderire ai rami, sono di un bel rosso brillante ma molto velenose. Fortunatamente scoraggiano chi le assaggia per il loro sapore acre e pepato. Altrettanto belle (come del resto belli lo sono i fiori) e molto velenose sono le bacche globose del mughetto (Convallaria majalis) a completa maturazione di un rosso brillante o rosso aranciato.
Inconfondibile è l’uva di volpe (Paris quadrifolia) pianta erbacea con una bacca velenosa in cima ad un peduncolo che emerge da una croce fogliare. E velenose sono anche le bacche ovoidali della barba di capra (Actaea spicata), l’unica ranuncolacea a bacche delle Dolomiti. Predilige i luoghi freschi, ombrosi e umidi. Fortunatamente il sapore amaro dei frutti neri e lucenti a maturazione tiene lontano dal cibarsene.