Alpinismo

125 anni fa, l’avventura di Sella e Freshfield intorno al Kangchenjunga

Le spedizioni che puntano alle vette entrano spesso nella storia, quelle “solo” esplorative solo di rado. Ma il periplo del 1899 della terza montagna della Terra è un’avventura fantastica. Raccontata anche dalle fotografie scattate da Vittorio Sella

In una luminosa giornata dell’autunno 1899, centoventicinque anni fa, una comitiva di una cinquantina di persone, tra asiatici ed europei, entra in discesa in una delle valli più belle del Nepal. Dopo aver traversato morene e ghiacciai, gli uomini si accampano a 5260 metri.
Il giorno dopo la comitiva traversa la valle di Kangbachen, tra stelle alpine e genziane, ai piedi del Kangchenjunga, 8596 metri, la terza vetta della Terra, che mostra “un formidabile ferro di cavallo di precipizi”. Gli si affianca lo Jannu, 7710 metri, una delle cime più difficili ed eleganti dell’Himalaya. 

Provammo la rara felicità dell’avventuriero che ha scoperto qualcosa che vale tutte le sue fatiche”, scrive il capospedizione Douglas Freshfield in Round Kangchenjunga, un libro che diventerà un best-seller nella letteratura di montagna.    
Il Kangchenjunga, ben visibile dalla cittadina di Darjeeling e dalle sue piantagioni di tè, attira da tempo gli esploratori. Il primo a osservarlo da vicino, nel 1848, è il botanico John Dalton Hooker, nel 1873 lo dipinge in tutta la sua imponenza Edward Lear. 

Nell’elenco degli alpinisti britannici che percorrono le montagne dell’Europa e del mondo tra l’Otto e il Novecento, Douglas Freshfield occupa uno spazio speciale. Nato a Londra da una famiglia ricchissima, scopre le Alpi da ragazzo, sale il Gran Paradiso e il Monte Bianco, poi si rivolge alle valli tra la Lombardia e il Trentino, dove compie la prima ascensione della Presanella. Nel 1868 è il primo alpinista europeo a visitare il Caucaso, dove con la guida francese François Dévouassoud sale il Kasbek e la vetta orientale dell’Elbrus. Sei anni dopo i due visitano l’Appennino, salendo la Pania della Croce e il Corno Grande. Nel 1905 Freshfield tenterà di salire il Ruwenzori, la terza montagna d’Africa, che verrà vinta l’anno dopo dal Duca degli Abruzzi. Poi diventerà presidente dell’Alpine Club e della Royal Geographical Society.  

Quando decide di partire per l’Himalaya, Douglas Freshfield passa mesi a documentarsi. “Noi non siamo, al contrario degli svizzeri, un popolo di geografi e di autori di mappe”, scriverà. A fargli scegliere la terza cima del mondo sono il comodo accesso da Calcutta, e la lettura dei diari di Hooker.

Un spedizione cosmopolita in terre “vietate”

A rendere più emozionante il progetto è la posizione del Kangchenjunga. Mentre il suo versante orientale è in Sikkim, un regno con il quale l’India britannica ha un trattato, il settore rivolto verso ovest è in Nepal, chiuso agli stranieri. A nord, vicinissima, è un’altra terra vietata, il Tibet.

Come tanti inglesi di quegli anni, Freshfield è un imperialista convinto e un assertore del Raj, l’Impero britannico in India. Al racconto ufficiale del suo viaggio in quella terra di grande importanza strategica, si affiancano relazioni riservate per diplomatici e generali di Calcutta.
Oltre a Freshfield, la comitiva del 1899 comprende il topografo inglese Edmund Garwood, la guida valdostana Angelo Maquignaz, il fotografo biellese Vittorio Sella, suo fratello Eugenio e il suo assistente Erminio Botta. C’è anche Rinzing Namgyal, un nobile del Sikkim che ha rischiato la vita come pundit, topografo clandestino al soldo degli inglesi, e che è già stato sui 6160 metri del Jonsong La. Freshfield però, da europeo del suo tempo, si fida solo in parte di lui. Completano la comitiva alcuni Gurkha, i militari nepalesi arruolati nell’esercito inglese, e qualche decina di portatori.

Douglas Freshfield si imbarca a Marsiglia ad agosto. Il 5 settembre riparte da Darjeeling mentre le ultime piogge del monsone cedono il posto alla stagione migliore per viaggiare in Himalaya. I primi giorni di cammino, nella foresta tropicale, sono accompagnati da una pioggia torrenziale.
A Kalimpong la comitiva passa dall’India britannica al Sikkim, e “un mulo riccamente bardato, inviato personalmente dal Raja” evita al capospedizione la salita a piedi verso la capitale Gangtok. Si riparte il 13 settembre, verso il monastero di Labrong e le gole del fiume Teesta, infestate da sanguisughe.

Nel monastero di Lachen, 2700 metri, i viaggiatori trascorrono l’ultima notte sotto a un tetto. Poi lasciano la carovaniera per il Tibet e salgono verso il ghiacciaio di Zemu, in una giungla dove i Gurkha aprono una via a colpi di accetta. Poi la pioggia si dirada, e compaiono le montagne. 

Vittorio Sella fotografa il Kangchenjunga, con “le sue pareti di terrificante ripidezza, più alte di quelle del Monte Rosa da Macugnaga”, Garwood lavora a una mappa. Domina la zona il Siniolchu, che Freshfield definisce “uno straordinario trionfo di architettura montana”. 

Il maltempo rallenta la spedizione

Una nevicata che dura due giorni e due notti costringe la comitiva a scendere. Il 26 settembre, quando il tempo si rimette, si parte verso la valle di Lhonak, il ghiacciaio di Jongsong e il Nepal. Si cammina in un paesaggio solenne, sul percorso indicato da Rinzing, scoprendo “catena dopo catena, le montagne senza nome del Tibet”.
Una “orrenda quantità di neve fresca” complica la salita, su terreno altrimenti facile, verso i 6160 metri del Jongsong La. Oltre il valico, attendono i prati di Kangbachen, boschi di larice e abete che ricordano a Freshfield “le foreste sul confine tra l’Italia e il Tirolo” e il villaggio nepalese di Ghunsa.  Qui, i montanari, di etnia Sherpa, si dimostrano cordiali verso i viaggiatori e vendono loro del cibo. Le donne permettono agli europei di toccare i loro orecchini e i loro amuleti d’oro e turchese, ma rifiutano di mettersi in posa per Sella.
A creare problemi è un funzionario nepalese, un bramino, che protesta contro quella che per lui è un’intrusione senza permesso. Allontana chi vende verdure e patate agli stranieri, poi vuole confiscare le armi. Freshfield, da buon inglese, riceve il bramino affiancato dai Gurkha in armi, e facendolo sedere più in basso di lui per umiliarlo. Gli racconta, mentendo, di essere sceso a Ghunsa per motivi di forza maggiore, dopo le tempeste di neve ad alta quota, e minaccia di inoltrare una protesta ufficiale a Kathmandu. Una bottiglia di whisky contribuisce a placare il funzionario. 

Sulla via del ritorno scoprono di essere stati considerati dispersi

Anche il trekking di ritorno verso il Sikkim e Darjeeling è un’avventura. Giornate di sole si alternano ad altre di nuvole e pioggia, che danno a Freshfield l’impressione di camminare sulla Highlands scozzesi. Tra le foreste di rododendri di Dzongri, l’incontro con un gruppo di inglesi fa sapere agli uomini arrivati dal Nepal che in Africa è scoppiata la guerra anglo-boera, che Darjeeling è stata devastata da piogge torrenziali, che la loro spedizione viene data per dispersa. Dal valico del Gocha La, oggi frequentato dai trekker, si ammira ancora una volta il Kangchenjunga.

I trekker del 1899 non lo sanno, ma i confini dell’Himalaya resteranno chiusi ancora a lungo. Il Tibet aprirà le frontiere solo nel 1921 alle prime spedizioni inglesi dirette all’Everest. Il Nepal, così a portata di mano, resterà chiuso fino al secondo dopoguerra. Grazie a Freshfield e agli altri, invece, Ghunsa e Kangbachen resteranno un’eccezione.

Dopo il loro passaggio, nonostante le proteste del bramino, la frontiera proibita si aprirà nel 1905 per far passare la spedizione di Aleister Crowley, Jules Jacot-Guillarmod e compagni, i primi a tentare il Kanchenjunga. Lo stesso accadrà nel 1930, quando a raggiungere Kangbachen dal Sikkim saranno Günter Oskar Dyrenfurth, Frank Smythe e compagni. Douglas Freshfield, Vittorio Sella e gli altri non vivono solo un’avventura speciale, ma indicano la strada.   

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