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A volte meno sarebbe meglio. Il valore, anche economico, della semplicità

Una volta i rifugi venivano riforniti da cavalli e muli, aiutati da portatori umani. Oggi gli elicotteri portano su perfino astici e ostriche, ma i costi e l’inquinamento sono alti. È possibile semplificare i menu e riportare un po’ di semplicità ad alta quota?

Da ragazzo ho trascorso tutte le estati in un rifugio delle Alpi Retiche a 2400 metri, gestito dalla mia famiglia.

Ricordo sul finire degli anni ’70 l’arrivo del primo elicottero, un Alouette rosso, capace di trasportare in un solo carico ogni sorta di bendidio.

Da quel giorno cavalli e muli andarono in pensione, rimase per qualche tempo un piccolo asino sardegnolo che ero solito condurre con mio fratello per il trasporto di viveri freschi.

Negli anni il trasporto aereo si è fatto via via più efficiente e ha alleviato le grandi fatiche di un tempo per uomini e animali.

Oggi i voli di rifornimento sono essenziali e per la maggior parte dei rifugi in quota non ci sono alternative.

La crescente e vasta disponibilità di offerte proposte dai rifugi, tra cibi, bevande e servizi, sempre più simile a quella degli alberghi e ristoranti di fondovalle, solleva più di un interrogativo riguardo il continuo incremento dei costi di trasporto e alle implicazioni ecologiche annesse.

Non a caso, secondo i dati della Radio della Svizzera Italiana e del Club Alpino Svizzero, un terzo delle emissioni di CO2 dei rifugi alpini è legato ai voli di rifornimento.

I gestori si trovano spesso nella condizione di dover ampliare la gamma di prodotti e servizi per guadagnarsi da vivere. In aggiunta gli alti costi di gestione, aggravati anche da norme burocratiche pensate per la pianura e assai difficili da replicare in quota, e dagli affitti, alimentano un circolo perverso, che implica infinite “rotazioni” aeree.

A volte meno sarebbe meglio?

Ridurre i voli di rifornimento potrebbe tradursi in una riduzione di costi, per gestori e ospiti, oltre che di emissioni.

I rifugi alti, prima che alberghi, sono una splendida finestra sui luoghi dove sono insediati.

Perché non provare a ricondurre la parola “rifugio” al suo significato più vero?

Qui una semplice zuppa calda diventa un pasto sontuoso, per il semplice motivo d’essere consumata affacciati su panorami straordinari.

Basta un ricovero caldo, confortevole, cibo semplice e nutriente, acqua e poco altro. Perché non eliminare piatti, bottiglie e bevande superflui?

Se sensibilizzati, alpinisti ed escursionisti potrebbero facilmente fare a meno del rifugio “patinato” accettando un servizio meno ricco ma più sostenibile nei costi e nelle emissioni.

In fondo saliamo quassù per dialogare con le pareti, con la storia del luogo e la sua geografia, non per andare a mangiare.

 

Si tratta di cambiare narrazione, con approcci alla montagna differenti.

Meno costi, affitti calmierati, prezzi più accessibili.

Ne guadagnerebbero tutti, la montagna in primis.

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