Salvate il chirocefalo! Il Lago di Pilato è in secca, il Parco dei Sibillini interviene
Il bacino ai piedi del Monte Vettore è asciutto, gli escursionisti che ne percorrono il fondo possono calpestare gli embrioni del raro e minuscolo crostaceo. Un cordino installato qualche giorno fa dal Parco punta a tenerli lontani.
Il Parco dei Monti Sibillini, sul confine tra le Marche e l’Umbria, ospita la grande fauna dell’Appennino. Un censimento di pochi giorni fa ha sancito la buona salute dei camosci, nei boschi vivono cervi e caprioli, l’aquila e il lupo sono presenti da sempre. Un orso, qualche anno fa, ha vagabondato per mesi nei boschi affacciati su Visso.
L’animale più raro dei Sibillini, però, è un minuscolo crostaceo endemico che vive nelle acque del Lago di Pilato, a 1950 metri di quota. Ha un colore rosso corallo, può superare di poco il centimetro di lunghezza, è simile al plancton che nutre le balene negli oceani, in condizioni normali si riproduce tra giugno e settembre.
A individuarlo, circa settant’anni fa, è stato Vittorio Marchesoni, un botanico dell’Università di Camerino. La specie, una volta riconosciuta ufficialmente, è stata dedicata al suo scopritore.
Oltre che per la sua rarità, e per l’habitat insolito, il chirocefalo del Marchesoni, nome scientifico Chirocephalus marchesonii, è noto per la sua capacità di resistere agli stress climatici. Le sue uova sono protette da membrane (gli zoologi le chiamano cisti) che possono resistere al prosciugamento del Lago, per poi schiudersi quando le condizioni ambientali ridiventano favorevoli.
Secoli fa, tra il Medioevo e il Rinascimento, il Lago di Pilato aveva una fama sinistra. Secondo il bolognese Leandro Alberti, che scriveva nel 1557, nelle sue acque “soggiornano i diavoli, et danno risposta a chi li interroga”. “Non è molto che ci sorpresero due uomini uno dei quali era un prete. Questo prete fu condotto a Norza e là martirizzato e bruciato. L’altro fu tagliato a pezzi e gettato nel lago da quelli che l’avevano preso” raccontava l’erudito emiliano.
Oggi il problema del Lago di Pilato (e quindi del chirocefalo) è il cambiamento climatico. Da qualche settimana, chi raggiunge la conca sorvegliata dalle pareti calcaree del Pizzo del Diavolo e dai pendii ghiaiosi del Monte Vettore, al posto del Lago trova due piccole conche ghiaiose. Non è la prima volta che accade, ma da qualche anno la siccità è diventata una condizione normale normale.
Nella seconda metà del Novecento gli atenei delle Marche e dell’Umbria, coadiuvati dal 1990 dal Parco nazionale dei Sibillini, hanno iniziato a occuparsi del Lago di Pilato dal punto di vista scientifico. Il monitoraggio dei dati climatici dal 1952 fino a oggi, condotto dall’Università di Perugia, ha registrato nevicate invernali via via meno abbondanti, e temperature progressivamente più calde ogni estate.
Il Lago di Pilato è scomparso completamente nel 1990 e nel 2002, e poi in tutte le estati a partire dal 2017, con l’unica eccezione del 2018, un’annata ricca di neve e di pioggia. Sei anni fa, è bene aggiungere, è stato possibile per l’ultima volta vedere il Lago come un bacino unico, mentre solitamente i laghi sono due, separati da un istmo.
Un’ipotesi di lavoro accreditata dall’ISPRA, l’ente di Stato che si occupa di natura e di ambiente, ha ipotizzato che i terremoti del 2016, che hanno devastato Amatrice, Norcia, Arquata del Tronto e altri centri, abbiano causato un aumento della permeabilità del fondo, e quindi facilitato lo svuotamento.
I sentieri che conducono al Lago di Pilato sono lunghi. Per raggiungerlo occorrono tre ore da Forca di Presta passando per il Vettoretto, il rifugio Zilioli e le Roccette, un po’ di meno se da Foce di Montemonaco si percorre il sentiero delle Svolte. Un terzo tracciato, che arriva da Castelluccio attraverso Forca Viola, è ancora più lungo, ed è stato interessato da frane staccate dai terremoti.
Nonostante la lunghezza dell’accesso, ogni estate, migliaia di escursionisti salgono verso il Lago di Pilato. Per questo motivo, fin dalla sua istituzione nel 1990, il Parco ha cercato di imporre una fruizione corretta. Quando il bacino è pieno è vietato tuffarsi o anche solo rinfrescarsi i piedi nell’acqua. Non si possono sciacquare calzettoni e magliette, anche i cani non devono entrare nel lago. Sui ghiaioni intorno al bacino è vietato tracciare scorciatoie, che causano piccole frane.
Quando il Lago di Pilato si prosciuga, il regolamento del Parco vieta di camminare sul fondo asciutto, per non arrecare disturbo ai preziosi embrioni del chirocefalo, che attendono il ritorno dell’acqua per lasciare liberi gli embrioni. Ma i cartelli non sono sufficienti, e i Carabinieri forestali e i volontari non possono essere presenti lassù tutti i giorni.
Per questo motivo, lo scorso 26 luglio, è salita al Lago una carovana inconsueta. Insieme al biologo Alessandro Rossetti e ad altri dipendenti del Parco c’erano alcuni Carabinieri forestali, alcuni ricercatori dell’Università di Perugia, dieci volontari del CAI arrivati dalle Marche e dall’Umbria e due guide ufficiali del Parco.
Uno di questi ultimi, Roberto Canali, organizza da anni escursioni nelle quali i bagagli viaggiano a dorso d’asino e di mulo. Due di questi animali hanno portato fino alle rive del Lago di Pilato centinaia di picchetti alti poco meno di un metro, e un oltre chilometro di cordino.
Nel pomeriggio, alla fine di una lunga giornata di lavoro, una recinzione di 800 metri di lunghezza impediva fisicamente agli escursionisti di inoltrarsi a piedi sul fondo asciutto del bacino, superando la linea di massimo livello. “Si tratta di un intervento leggero, facilmente rimovibile e che non altera in alcun modo lo straordinario contesto paesaggistico circostante, in quanto visibile solo dalle sue immediate vicinanze” spiega un comunicato del Parco.
“Confidiamo nella sensibilità e responsabilità degli escursionisti che si recano al Lago di Pilato, luogo simbolo dei Sibillini, affinché contribuiscano alla sopravvivenza del chirocefalo del Marchesoni mediante il rigoroso rispetto delle misure di conservazione” commenta il direttore del Parco, Maria Laura Talamè.
“Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte a questa giornata, in particolare il CAI delle Marche e dell’Umbria, e il Comune di Montemonaco, con cui è stata concordata l’iniziativa”, aggiunge il presidente del Parco Andrea Spaterna. “L’intervento, realizzato in urgenza e con costi molto bassi, ha una grande importanza per la salvaguardia di uno dei più preziosi gioielli biologici dell’area protetta” prosegue.
Basterà? Il clima della Terra continua a riscaldarsi, e non è facile prevedere per i Monti Sibillini, nel prossimo futuro, inverni pieni di neve ed estati con piogge abbondanti. Non sappiamo se l’animale più raro del Parco riuscirà a salvarsi dall’estinzione. Uomini e donne di buona volontà, però, stanno provando seriamente a tutelarlo.